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I prodotti a base di legno possono contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici

Scegliere il legno come materia prima, in certi casi, equivale ad abbassare l’impatto del prodotto in termini di emissioni. Ma bisogna fare i dovuti distinguo. A dirlo è un report della Fao.

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Quale ruolo per il legno nella bioeconomia?

Lunedì 21 marzo, giornata internazionale delle foreste. Una data fortemente simbolica quella scelta dalla Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) per presentare la sua corposa analisi sul ruolo della filiera del legno per la bioeconomia. Con un focus particolare sulla sfida più importante dei nostri tempi, la lotta contro i cambiamenti climatici.

 

Il concetto stesso di bioeconomia può assumere diverse sfumature. Di base, questa parola indica l’uso di risorse e processi biologici per la produzione di energia, cibo, fibre e altri manufatti. In questo quadro, il report si pone una domanda: i prodotti a base di legno possono essere validi sostituti per quelli artificiali, realizzati facendo ricorso ai combustibili fossili e generando quindi emissioni di CO2?  

 

I nuovi impieghi del legno nel tessile e nell'edilizia

La domanda è di stretta attualità. Negli ultimi quindici anni, per esempio, la domanda di carta si è stabilizzata (o, in alcuni territori, è addirittura calata) perché i dispositivi digitali hanno soppiantato libri, giornali, riviste e anche l’abitudine di prendere appunti su un quaderno. Ciò significa, secondo alcuni studi, che entro il 2030 avremo a disposizione dai 229 ai 259 milioni di metri cubi di legno, non più necessario per la produzione di carta stessa. 

 

Come reimpiegarlo? Le categorie che vivono la maggiore ascesa sono due. La prima è il legno laminato a croce, sempre più richiesto in edilizia per applicazioni come i pavimenti, le pareti e i tetti. Garantisce infatti una buona acustica e capacità di isolamento tecnico, a fronte di un impatto in termini di CO2 decisamente più contenuto rispetto ad altri materiali da costruzione non rinnovabili. Mentre sui materiali da costruzione ingegnerizzati non sono ancora disponibili statistiche affidabili, si prospetta cha la produzione di legno laminato a croce raggiunga i 3 milioni di metri cubi entro il 2030.

 

Dall’edilizia passiamo al tessile per la seconda categoria in grande ascesa, quella delle fibre artificiali cellulosiche. Come il lyocell, ritenuto un’alternativa alla viscosa e al poliestere ma con un impatto ambientale molto limitato. Potrebbe rivelarsi esattamente quello che serve in questo momento storico in cui la produzione di cotone (estremamente esigente in termini di pesticidi e insetticidi) si avvicina al picco e, nel frattempo, il fabbisogno di fibre continua ad aumentare. Textile Exchange fa sapere che nel 2019 la produzione globale di fibre (naturali e artificiali) ha raggiunto i 111 milioni di tonnellate, letteralmente il doppio rispetto a vent’anni prima.

 

Un materiale a ridotte emissioni

Tutto ciò ha conseguenze tangibili sulla mitigazione dei cambiamenti climatici. Passando in rassegna decine di studi scientifici, il report ribadisce che l’uso di legno e derivati è generalmente associato a emissioni di gas serra inferiori rispetto a prodotti equivalenti realizzati in materiali diversi. Vero è che i tre quarti di questi studi si focalizzano sul settore delle costruzioni; si sa decisamente meno di stampa e packaging, per esempio. 

 

Oltretutto, finora queste analisi sono state condotte prevalentemente sul legno tagliato nei Paesi del nord Europa e del nord America. È lecito immaginare che intervenire sulle foreste primarie dell’Amazzonia o dell’Africa abbia un impatto diverso, poiché esse fungono da carbon sink (serbatoi naturali di CO2).

 

Insomma, ben vengano i prodotti in legno, purché su ciascuno di essi si conduca un’analisi dettagliata dell’impatto ambientale lungo l’intero ciclo di vita (in gergo si parla di LCA, life cycle assessment). E purché le foreste siano gestite in modo sostenibile, bilanciando gli interessi economici con la tutela del territorio, della biodiversità e della popolazione locale. Trovando così il giusto bilanciamento tra tutti i servizi ecosistemici.