Bici zen, ciclismo urbano e meditazione
Cosa succede alla nostra consapevolezza quando cominciamo a pedalare? Cosa si nasconde dietro al piacere-bisogno di mettersi in sella?
Bici Zen: l'esperienza di Juan Carlos Kreimer
C’era una volta “Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”. Oggi, a 45 anni di distanza, esce “Bici zen, ciclismo urbano e meditazione”, una sorta di revisione green friendly del tema.
Edito da Utet e tradotto da Davide Sapienza, si tratta di un testo di poco più di 150 pagine di Juan Carlos Kreimer, scrittore e giornalista, ma anche girovago e praticante zen, nato in Argentina ma cittadino del mondo.
Il lavoro lo ha portato spesso fuori dal suo paese natio: America, Brasile, Francia, ed Inghilterra. Il libro, ricco di memorie e scritto con metodo e stile, cerca di sfatare il luogo comune che prevede di doversi sedere a gambe incrociate e chiudere gli occhi per meditare.
La sua esperienza su due ruote, supportata dal confronto con la psicologia, lo porta a descrivere lo stato di “flow” che si sperimenta quando l’azione avviene senza una vera volontà personale: tutto accade senza vero coinvolgimento e si è spettatori di una sorta di perfezione, presenti nell’attimo irripetibile dei pensieri che scorrono senza definirci necessariamente come persone.
Sperimentare il "flusso" pedalando
Kreimer cerca di descrivere nei dettagli quella sensazione familiare a molti ma mai veramente fatta propria, di divenire un tutt'uno con la bicicletta, in uno scambio perpetuo e reciproco di feedback nel quale la situazione potrebbe benissimo ribaltarsi, ovvero essere la bicicletta a pedalare noi, senza cambiare assolutamente il risultato.
Sensazioni simili sono percepibili anche in altre pratiche che coinvolgono il controllo della respirazione o comunque il focalizzarsi su di essa. Tanto il pranayama quanto il suonare il didjeridoo (o essere da lui suonati), inducono condizioni di coscienza simili.
La bicicletta non fa eccezione: il ritmo del respiro si adatta ai pedali che si adattano alle ruote che si adattano alla strada che si adatta al mondo, ed il veicolo diviene così un passe-partout per una condizione leggera di presenza-assenza perfettamente zen.
Bici Zen: un dialogo tra corpo e mente, tra bici e cicilista
Questo dialogo non verbale tra il corpo e la mente, la bici e il ciclista, riesce ad intrigare e a risultare attendibile e a tratti profondo: un testo che si avvicina alla psicologia più che non una metafora.
Oltre a descrivere i processi mentali ed energetici della meditazione, Kreimer si avventura nella storia dell’invenzione della ruota, toccando la quadratura del cerchio dell’Uomo di Vitruvio, andando ad esplorare un'eventuale coscienza della bicicletta e, perché no, una sua personalità..
Kreimer interpreta il crescente ricorso alla bicicicletta, anche in ambienti urbani come nelle civilissime Amsterdam e Copenhagen, come la soddisfazione di un malcelato istinto-necessità di praticare lo zen, la meditazione, agire senza pensare, lasciare che corpo e veicolo facciano tutto da soli senza interferenze mentali, così che essa possa librare ed osservare se stessa, e magari perdersi per poi ritrovarsi.
L’autore riesce inoltre, sempre con uno stile forbito, ricco sia di informazioni colte ed intelligenti che di numerose citazioni a trovare il modo di collegare la pratica del ciclismo alla compassione tipica del Buddhismo, citando l’impatto ridotto sull’ambiente, ma anche l’educazione del ciclista che si riconosce nell’altro ciclista, e nell’arte raffinata di dare la precedenza.