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Dai semi più rari una via per l'autosufficienza alimentare: intervista ad Alice Pasin

Vive in un bosco sul lago di Como. Recupera semi di piante locali ignorate dal mercato e coltiva frutta e verdura spontanei. Ecco chi è Alice Pasin, contadina con un passato da architetto.

Autosufficienza alimentare Alice Pasin

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© Pavel Rodimov / 123rf.com

Salvare dall’estinzione piante alimentari locali e varietà antiche non significa solo salvaguardare la biodiversità agricola ma anche garantire un futuro all’agricoltura stessa, sempre più vittima della standardizzazione genetica e del monopolio commerciale. Questo spirito agro-ecologico è fatto di pratiche sostenibili e resilienti: tra queste c’è l’autosufficienza alimentare.
 

Abbiamo chiesto ad Alice Pasin, contadina e membro dell’associazione Civiltà Contadina, impegnata da anni a recuperare semi poco conosciuti e a rischio di scomparire, di raccontarci la sua esperienza di autosufficienza alimentare e come questa pratica possa rappresentare uno spunto in questa fase di ripartenza economica.
 

Qual è stato il momento in cui hai deciso di coltivare semi e spingerti verso l’indipendenza alimentare?

È successo quando sono andata a studiare in Olanda, dopo la laurea in architettura. Prima di partire ero abituata a mangiare i prodotti dell’orto che mia nonna, contadina veneta trapiantata sul lago di Como, era solita trasformare. Lei stessa coltivava frutta e ortaggi a partire dai semi conservati in famiglia, che si tramandavano così di generazione in generazione. 

 

In Olanda tutto questo mi mancava, le verdure sono coltivate in serre, loro non hanno la terra, è una nazione strappata dal mare. Al mio rientro in Italia, che coincise con la morte della nonna, né io e né i miei parenti avevamo conservato quell’eredità custodita gelosamente.
 

Hai detto che tuo nonno ti raccontava di quando, durante la guerra, raccoglieva le corniole, frutti selvatici ricchi di vitamine che lui masticava per sostenersi durante quei momenti faticosi. Ci fai qualche esempio di frutta e verdura che hai recuperato?

Più che “recuperare”, tengo i semi dalle piante e continuo il ciclo, oppure curo le piante spontanee. Ad esempio il songino selvatico, un’insalata spontanea che cresce copiosa qui da noi (Alice vive con il marito e 3 figli in un bosco nei pressi del lago di Como, ndr)

 

Poi ci sono le ortiche, il farinello selvatico, che è uno spinacio romano che non si coltiva più perché poco produttivo. E poi ancora fagioli occhiuti, scomodi da coltivare ma antichi, mini-cetriolini che si mangiano con la buccia, pomodori gialli, banane di montagna, cicoria

 

Abbiamo provato anche con il grano ma questa coltura è tipica del centro-Italia, quindi ha una sua regionalità specifica ed è difficile che attecchisca da noi in maniera spontanea.
 

Come ti procuri ciò che non hai? Davvero ti accontenti solo dei prodotti del tuo orto?

A dire la verità abbiamo creato una rete di scambio, proprio per sopperire a quei prodotti che noi non abbiamo. Quindi ci troviamo periodicamente in luoghi dove scambiamo i nostri ortaggi e la nostra frutta con quella di altri produttori come noi. 

 

È facile quindi ottenere prodotti di agricoltori che arrivano dalla Toscana o da altre regioni. È una rete ricca, lontana dai riflettori ma molto “viva”. Mi capita poi, anche se più di rado, di mettere piede in un supermercato o nei negozi, per esempio per acquistare la frutta fresca. Per esempio poco tempo fa ho fatto incetta di albicocche biologiche al supermercato: ne ho comprate 4 chili!
 

Oggi 4 grandi multinazionali detengono in Europa i diritti del 72 per cento dei semi di pomodoro o il 95 per cento dei semi di carota. L’autosufficienza alimentare è un’arma contro questo monopolio e ripensare il futuro dell’agricoltura?

Direi di sì. Ma coltivare richiede tempo e per far riprodurre le piante è necessaria molta cura. L’autosufficienza alimentare non è una pratica che si improvvisa: ogni ortaggio o cereale, da oltre 10 mila anni, è risultato di un intervento umano. 

 

Molte piante senza questo processo sarebbero già scomparse. Vanno scelti solo i frutti più forti, sviluppati i migliori. La selezione è fondamentale. Infine ci tengo a dire che la mia attività è slegata dalla logica commerciale: come detto io prediligo lo scambio e il baratto, scrivo e sensibilizzo sull’argomento attraverso incontri e libri. 

 

I miei semi non sono in commercio ma posso scambiarli: per questo costruirsi un network è fondamentale per la propria sopravvivenza. Questo può essere uno spunto su cui riflettere, in questa fase.