Osservatorio astronomico di Brera
Ilaria Arosio, astrofisica e divulgatrice, ci accompagna alla scoperta della storia, delle caratteristiche e delle attività divulgative dell'Osservatorio astronomico di Brera.
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©INAF - Osservatorio Astronomico di Brera
A cosa serve un osservatorio astronomico? Al progresso scientifico e tecnologico, certo; ma anche a condividere, divulgare, viaggiare con l’immaginazione verso nuovi orizzonti. Ce lo dimostra la frenetica vita culturale dello storico Osservatorio che da 250 anni è ospitato dal palazzo di Brera, nel cuore di Milano, con una sede distaccata a Merate, in Brianza. Scopriamolo grazie all’appassionato racconto di Ilaria Arosio, astrofisica e divulgatrice Inaf – Osservatorio astronomico di Brera.
Quali sono i tratti salienti della storia dell'Osservatorio astronomico di Brera?
L’Osservatorio di Brera nasce circa 250 anni fa. All’epoca era un collegio di gesuiti all’interno del palazzo di Brera. Due padri gesuiti videro il passaggio di una cometa, si appassionarono e chiesero al rettore Girolamo Pallavicini di avere a disposizione la strumentazione adatta ad analizzare eventi di questo tipo. Da lì cominciò tutto.
Sono 250 anni che si fa ricerca astronomica in una sede un po’ misconosciuta, situata in un angolo recondito del palazzo.
L’osservatorio oggi fa parte dell’Inaf (Istituto nazionale di astrofisica), un ente di ricerca controllato dal ministero che si occupa di ricerca in ambito astronomico, cosmologico e astrofisico.
Giovanni Virginio Schiaparelli ne fu direttore tra il 1860 e il 1900 e lo riportò in auge dopo un periodo un po’ difficoltoso. Fu un personaggio di grande rilievo a livello internazionale perché intuì per primo la stretta relazione tra stelle cadenti e stelle comete e, soprattutto, si dedicò al pianeta Marte. Proprio dalla cupola dove ancora è contenuto il suo telescopio, mise a punto la cartografia di Marte studiandolo esattamente come veniva studiata la Terra; avviò così la scienza della planetologia.
Nasceva con lui anche il mito dei “canali”, cioè le strisce nere che si notavano sulla superficie di Marte. Mentre lui si interrogava sulla loro origine, a livello internazionale si diffuse la credenza per cui fossero state costruite dai marziani. Noi diciamo sempre che i marziani sono nati a Milano nel 1877. Quando la strumentazione divenne più precisa si capì che erano solo illusioni ottiche, ma intanto il mito dei marziani era cominciato e nessuno sarebbe più riuscito a fermarlo.
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Di cosa si occupa oggi l’Osservatorio?
Oggi l’Osservatorio fa ricerca di eccellenza a livello mondiale all’interno dell’Inaf. Si occupa molto di astrofisica delle alte energie, cioè di studiare quegli eventi che generano luce a raggi X o a raggi gamma: buchi neri, ammassi di galassie e altri oggetti particolarmente energetici. Da un lato li studia, dall’altro produce strumentazione adatta a quel tipo di osservazioni.
I laboratori di altissima tecnologia dove vengono realizzati i telescopi si trovano nella sede di Merate. Fu inaugurata intorno al 1920, quando si capì che la luce della città avrebbe invaso il cielo l’Osservatorio cercò riparo fuori dalla città. La sede ospita due cupole che contengono due telescopi storici, uno dei quali viene usato per fare visite e osservazioni guidate del cielo (fatte salve le restrizioni per pandemia).
Fu Riccardo Giacconi, premio Nobel per la Fisica nel 2002, a iniziare questa nuova branca dell’astronomia (ormai ampiamente consolidata) che studia le radiazioni a raggi X. Lui se ne occupò negli Usa ma era italiano e aveva studiato a Milano. L’Osservatorio astronomico di Brera segue questa grande tradizione.
Tuttavia non si esaurisce qui perché vengono condotti tantissimi studi anche su altre parti del cosmo, sulle galassie, sui pianeti extrasolari, sull’astronomia a raggi ancora più energetici come i raggi gamma e così via.
La forza che ha l’Osservatorio – e l’Inaf in generale – è quella di creare grandi gruppi internazionali di ricerca. Per fare un esempio, sta collaborando alla produzione di strumentazione per l’Extremely Large Telescope, un gigantesco telescopio da 39 metri di diametro che vedrà la luce nel 2024. Una collaborazione che si esplica sul fronte scientifico e anche realizzando parte della strumentazione. La componente scientifica va a braccetto con quella tecnologica, hanno bisogno l’una dell’altra.
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Da un lato quindi l’Osservatorio astronomico di Brera porta avanti questo lavoro scientifico e tecnologico, dall’altro lato ha un ruolo didattico, quasi sociale.
L’Osservatorio è stato uno dei primi enti di ricerca a dotarsi di personale per la comunicazione della scienza istituendo il Public Outreach & Education office (POE). Da allora si impegna sia con attività formali che coinvolgono le scuole e il pubblico, sia con attività informali come aperitivi scientifici, mostre, iniziative trasversali.
Dal 2009 in poi abbiamo fidelizzato il pubblico attraverso conferenze mensili – prima in presenza, oggi online – chiamate “I cieli di Brera”. Su richiesta dei partecipanti, a partire dal 2011 teniamo due corsi di astronomia (base e avanzato) che riscuotono un grandissimo successo di pubblico. Quest’anno si sono svolti online, uscendo quindi dal perimetro milanese.
Questi corsi sono sempre stati monitorati attraverso questionari di valutazione e focus group che ci permettono di capire cosa ha funzionato, cosa invece è mancato, quali argomenti interessano di più ecc. Abbiamo instaurato questo dialogo perché ci tenevamo al fatto che i nostri corsi fossero capaci di rispondere alle richieste della cittadinanza; insomma, che offrissero un servizio.
Poi ci sono l’adesione a palinsesti cittadini come Book City e Stem in the City, la collaborazione con i teatri, gli spettacoli per bambini e adulti, gli aperitivi scientifici, le mostre con il museo di Storia naturale, il Mudec, il museo nazionale della Scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci.
La galleria della strumentazione è stata rinnovata durante il lockdown vincendo due bandi. Il primo, della regione Lombardia, ci ha permesso di riallestirla; con il secondo, di Fondazione Cariplo, stiamo mettendo a punto sistemi di realtà aumentata e realtà virtuale che accompagnano il visitatore alla scoperta degli strumenti antichi.
L’astronomo osserva, scopre, misura, rappresenta e interpreta. All’interno di una sezione della galleria esploriamo il significato di questi verbi. Anche se domande e strumenti sono molto cambiati nei secoli, l’attitudine dell’astronomo è sempre quella di voler capire la realtà e cercare di rispondere a una domanda: cosa c’è sopra le nostre teste? Duecento anni fa si chiedeva cos’erano quei puntini luminosi; ora sa che sono stelle e quindi cerca di andare oltre, con nuovi strumenti e nuovi dati. Questo è ciò che fa l’astronomo da 250 anni a Brera.
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Nel vostro sito voi dichiarate che la diffusione della cultura scientifica è una necessità sempre più urgente. Come mai?
Potremmo dare diverse risposte. La prima è che il 27mo articolo della Dichiarazione universale dei diritti umani dice: “Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici”. Un ente di ricerca, impegnato a capire cosa c’è sopra la nostra testa, ha il dovere di condividere ciò che sa. Qualsiasi scoperta deve essere comunicata, altrimenti non serve a niente.
Poi c’è una seconda motivazione: tutti i ricercatori sono pagati dai cittadini ed è giusto che facciano un servizio di restituzione al loro “capo”, cioè a colui che li paga.
La comunicazione inoltre permette di condividere le proprie istanze, le proprie ricerche, il motivo per cui – per esempio – ha senso studiare i buchi neri. Così la comunità può capire quanto la ricerca scientifica sia importante.
L’Europa fa pressione per incrementare fino al 3% la quota di Pil destinata a ricerca e sviluppo. La Germania è già al 3,1% mentre l’Italia, pur con notevoli progressi negli ultimi anni, è ancora ferma all’1,4%. I dati dell’Ocse dimostrano che gli Stati che godono di maggiore benessere economico sono quelli che destinano una buona parte delle loro risorse alla ricerca e sviluppo, perché questo li rende competitivi anche a livello industriale.
Banalmente, l’Italia stanzia circa 18 milioni di euro per essere parte del consorzio dedicato al telescopio ELT. Di conseguenza, le viene assegnata una commessa da 400 milioni di euro per produrre una parte della strumentazione. È chiaro però che per investire cifre del genere si debba informare il pubblico, creando partecipazione.
La domanda classica è: “Ma a cosa serve un telescopio?”. A parte il fatto che la ricerca deve essere pura e libera perché solo così produce progresso, c’è un’altra questione da considerare: pur non potendole conoscere in anticipo, l’astronomia ha ricadute tecnologiche immense. Per esempio, le tecniche con cui si catturano le immagini del cielo sono le stesse usate per gli esami diagnostici sul corpo umano, come la mammografia e la Pet.
Da un lato, quindi, i progressi nel campo dell’astronomia consentono agli astronomi di studiare la materia di loro interesse; dall’altro lato, contribuiranno al benessere collettivo in futuro.
La pandemia ha inciso sulle vostre attività?
Sul fronte della divulgazione, per la prima volta abbiamo tenuto il corso di astronomia online. Chiaramente è un’offerta diversa, ma ci comunque ha consentito di passare da 50 a 130 partecipanti, includendo anche coloro che non si sarebbero potuti recare nella sede di Brera. Ci sono persone che ci scrivono mail bellissime per dirci che abbiamo riempito un loro momento buio: mentre erano chiuse in casa, l’astronomia le ha fatte viaggiare su altre galassie.
Il nostro lavoro di ricerca non ha risentito del lockdown, perché ci sono state precluse alcune attività in presenza ma ne abbiamo fatte altre online. Abbiamo anche cercato di contribuire alla battaglia contro il Covid-19: nello specifico, abbiamo condotto alcuni studi sull’uso della luce ultravioletta per sterilizzare le superfici. Stiamo tutti navigando sulla stessa barca ed è giusto che ciascuno metta a disposizione le sue competenze.