Salomé: la leader che difende l'Amazzonia
La storia di Salomé e delle altre donne coraggiose, minacciate per il loro attivismo a favore delle popolazioni indigene in Ecuador.
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La storia di Salomé, coraggiosa leader nativa
Salomé è il nome di una donna coraggiosa. È una nativa del popolo Kichwa e vive a Moretecocha, una piccola comunità isolata che fa parte della provincia del Pastaza, nel cuore dell’Amazzonia ecuadoriana.
Il bacino del fiume Villano, dove vive la sua tribù, è da tempo al centro delle mire delle grandi multinazionali del petrolio, che hanno dato il via a un’espansione delle loro attività estrattive senza interpellare la popolazione. Sulle donne incombe anche la minaccia delle violenze sessuali, tanto diffuse quanto impunite.
Salomé Aranda non è stata zitta. Il 22 marzo 2018 ha approfittato dell’incontro tra le donne amazzoniche e il presidente dell’Ecuador, Lenín Moreno, per denunciare apertamente entrambe queste situazioni.
A poche settimane di distanza, il 13 maggio 2018, un gruppo di sconosciuti lanciava pietre contro la sua casa, minacciando la sua incolumità e quella della sua famiglia. Salomé non si è fatta attendere e si è rivolta subito alle autorità, ma ad oggi le indagini sono ferme. Colpevoli e mandanti non sono stati mai identificati.
A un anno di distanza Salomé non può dirsi ancora fuori pericolo, perché non le è stata offerta nessuna misura di protezione. È per questo che Amnesty International ha lanciato una petizione che esorta il procuratore generale Diana Salazar a indagare sull’accaduto e garantire la sua sicurezza.
La storia di Margoth, arrestata e minacciata
Purtroppo quello di Salomé non è un caso isolato, sottolinea Amnesty International. Lo dimostra la storia di Margoth, un’altra donna ecuadoriana che si spende da anni per difendere il territorio e i diritti dei nativi.
Nel 2015, mentre marciava per uno sciopero a Puyo (sempre nella provincia di Pastaza) è stata arrestata, percossa e tenuta in carcere per una settimana, per poi essere rilasciata su cauzione. È finita sotto processo per “attacco e resistenza”, ma è stata assolta da tutte le accuse.
Tre anni dopo qualcuno ha dato fuoco alla sua casa, distruggendola completamente. Anche nel suo caso, le indagini si sono rivelate tardive e si sono risolte in un nulla di fatto. Le è stato proposto di aderire al programma di protezione testimoni, ma ha rifiutato giustificandosi con queste parole: “Non ho fiducia nell’attuale governo, non ho fiducia nell’indipendenza del sistema legale in Ecuador, né nelle forze militari o di polizia”.
La petizione di Amnesty International
Salomé, Margoth, ma anche Patricia e Nema. A queste quattro donne, tutte ecuadoriane e tutte appartenenti al collettivo Donne amazzoniche, è dedicata la petizione di Amnesty International che avanza queste richieste:
> avviare le indagini sugli attacchi e sulle minacce subite. Indagini che devono essere immediate, esaustive, indipendenti e imparziali;
> prendere in considerazione la possibilità che gli attacchi siano legati al loro impegno per i diritti umani, identificare i responsabili e consegnarli alla giustizia;
> pianificare e mettere in atto un protocollo di indagine specifico per i reati contro chi difende i diritti umani, che coordini al meglio il lavoro delle varie autorità coinvolte.
La petizione ha già superato le 25mila adesioni; per firmarla basta visitare questo link.