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Quanta energia costa ascoltare Spotify (in streaming)

In termini di emissioni di CO2, è meglio ascoltare un brano da un cd o su Spotify? E quanto influisce sul clima l’ascolto di milioni e milioni di brani ogni giorno?

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©daviles / 123rf.com

L’impatto delle piattaforme digitali sul clima

Se tutti – bene o male – sappiamo che la bici ha un impatto sul clima inferiore rispetto all’auto, così come la frutta a km zero rispetto a quella importata dal Sudamerica, ci sono aspetti della vita quotidiana che possono mettere in difficoltà anche i più accaniti ambientalisti. Uno su tutti, la vita digitale.

 

I nostri smartphone e computer però funzionano perché li attacchiamo a una presa di corrente, e perché ricevono input da data center distanti migliaia di chilometri che, a loro volta, consumano energia 24 ore su 24. Considerato che ancora oggi il mix energetico globale è dominato dal carbone (col 35% del totale), consumare energia significa inevitabilmente emettere CO2 in atmosfera

 

Sappiamo per esempio che, in quanto a consumo di energia, guardare in streaming un video di appena dieci minuti in alta definizione è all’incirca come tenere acceso un forno elettrico da 2mila watt a piena potenza per tre minuti. Che dire, però, della musica?

 

Lo streaming musicale è una scelta green?

A primo acchito, viene da pensare che ascoltare un brano in streaming sia comunque preferibile rispetto ad acquistare un cd non riciclabile, impacchettato nella plastica e spedito dalla fabbrica al negozio. Nel 2000 la produzione di cd negli Stati Uniti ha raggiunto il suo picco storico, portando con sé un consumo di 61mila tonnellate di plastica; nel 2016 quest’ultimo era sceso a 8mila

 

Questa senza dubbio è una buona notizia per l’ambiente, ma c’è anche il rovescio della medaglia. A metterlo in luce è uno studio delle università di Oslo e Glasgow, in cui si legge che “dal punto di vista delle emissioni di CO2, comunque, la transizione verso l’ascolto in streaming della musica attraverso dispositive connessi a internet ha avuto come risultato una quantità di emissioni di CO2 significativamente più alta rispetto a qualsiasi altro momento precedente nella storia della musica”. 

 

Gli studiosi hanno convertito in CO2 la produzione sia della plastica, sia dell’elettricità necessaria per conservare e trasmettere i file digitali. Ne emerge una carbon footprint di 140 milioni di kg nel 1977, che sale a 157 milioni nel 2000 e sfonda il muro dei 200 milioni di kg nel 2016. Ma il totale del 2016, a seconda del metodo di calcolo adottato, potrebbe superare i 350 milioni di kg solo negli Usa.

 

Spotify vuole azzerare le emissioni

Che posizione prende Spotify, la piattaforma di streaming musicale per antonomasia? Troviamo una risposta nel suo Report di sostenibilità 2021

 

L’obiettivo è ambizioso: azzerare le proprie emissioni nette di gas serra entro il prossimo decennio. Queste ultime nel 2021 hanno raggiunto un totale di 353.054 tonnellate di CO2, più del doppio rispetto alle 169.000 del 2020. Un aumento che, spiega l’azienda, è dovuto anche a un cambiamento nella metodologia di calcolo delle emissioni stesse, oltre che all’espansione in nuovi mercati e all’incremento dei dipendenti e degli utenti attivi ogni mese. Ne sarebbe la prova il fatto che le emissioni medie per ciascun dipendente e utente siano rimaste stabili, dopo il calo del 25% registrato tra il 2029 e il 2020.

 

Soltanto una minima parte di questa CO2 – meno dell’1% – è generata direttamente dall’azienda, attraverso l’energia prodotta (Scope 1) e acquistata (Scope 2). Il restante 99% fa capo al cosiddetto Scope 3, cioè alle innumerevoli attività connesse al business. Come per esempio i viaggi dei dipendenti (le cui emissioni si sono limitate a 3.021 tonnellate di CO2 nel 2021, il 55,9% in meno rispetto al 2020); il marketing, i beni e i servizi usati, l’uso delle piattaforme cloud e così via.

 

All’interno dello Scope 3 c’è anche l’elefante nella stanza, cioè le riproduzioni dei brani da parte degli utenti. In merito ai data center, l’azienda chiarisce che “sono dislocati in varie località nel mondo” e “la disponibilità di energie rinnovabili varia a seconda della regione”. 

 

“In questo momento”, si legge nel report, “il settore non ha ancora abbastanza informazioni sull’impatto climatico dello streaming. Abbiamo bisogno di capire e mappare questo impatto dovuto alla distribuzione dei device, del consumo di energia del cloud e di molti altri parametri, allo scopo di ridurlo”.