I legumi minori: proprietà e usi in cucina
I legumi fanno parte della nostra alimentazione quotidiana e sono un elemento fondamentale della dieta mediterranea, ma siete sicuri di conoscerli bene? Esiste un mondo di legumi minori, consumati solo in alcune zone, coltivati in minor quantità. Diamo un‘occhiata e scopriamo qualcosa di più
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Col termine legume si intende generalmente il seme commestibile delle piante appartenenti alle leguminose o Fabaceae.
A differenza dei semi dei cereali, i legumi non sono consumati tanto per i carboidrati quanto piuttosto per l’alto contenuto di proteine vegetali di ottima qualità.
Sono da sempre parte della nostra tradizione, tanto che molti piatti a base di legume sono indissolubilmente legati alla cucina tipica italiana e mediterranea.
I più consumati sono senza dubbio il fagiolo, con tutte le sue varietà che vanno dal cannellino al borlotto, dallo spagnolo al rosso; il cecio, molto versatile e ideale per creme come l’hummus; la lenticchia, in varie pezzature e colori; la fava, sia fresca che secca, il pisello e la soia (verde, bianca o rossa) sempre piu’ consumata anche in Occidente.
I legumi minori sono in genere protagonisti delle cucine locali, più elementi da sagra che da supermercato. Ma i loro valori nutrizionali sono indubbiamente interessanti.
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Uno tra i legumi minori più consumati è la cicerchia (Lathyrus sativus), largamente prodotta e commerciata in Asia e nel corno d’Africa, dove è considerate una risorsa insostituibile specie dove sussistono carenze alimentari.
È nota la sua tossicità peculiare: un consumo prolungato di cicerchie può ingenerare problemi di carattere neurodegenerativo.
Anche in Italia è tradizionalmente consumata, anche se questa abitudine antica va pian piano sparendo: in genere si consuma intera o trasformata in farina, come accade per i ceci.
La circerchia è particolarmente ricca di proteine, ma per via delle tossine è necessario cuocere bene i semi e comunque non farne mai un consumo regolare: studi scientifici hanno dimostrato che un'assunzione costante di tre mesi dà il via a processi degenarativi e alla perdita di controllo della parte inferiore del corpo.
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Il famose cece nero delle Puglie e della Basilicata è una particolare varietà del più commune cece, ricco di proteine, fibra, ferro e vitamine (soprattutto E e K). Antico compagno dell’uomo, il cece è coltivato già in tempi antichissimi.
Quello nero, sempre più commerciato in Italia, è un presidio slow food: molto slow, visto che deve stare a mollo quasi un giorno intero (intorno alle 18 ore in genere) e ci mette attorno alle due ore di cottura prima di diventare commestibile.
Può sostituire in tutto e per tutto i normali ceci, visto che da questi si distinguono non tanto per il sapore ma per il contenuto maggiore di ferro e minore di acqua.
Si accompagnano deliziosamente con la zucca, mentre sono meno adatti alle minestre. Si sposano a meraviglia con le rape, altro ortaggio tipico del barese.
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Siate sinceri: quanti di vuoi avevano sentito questo nome prima d’ora? La roveja, o Pisum sativum arvense è una rara varietà di pisello scuro, originario fin dalla più remota antichità del mondo arabo ma ben adattato anche nella nostra penisola italiana (specie le Marche e l’Umbria).
Somiglia in tutto e per tutto ad un pisello sebbene il colore sia marrone violaceo, e come il più commune pisello verde può essere consumato sia fresco che essiccato.
Non ha la dolcezza del pisello, ma un sapore più forte e complesso, che ricorda il lupino e testimonia una diversa ricchezza organolettica.
La roveja risulta buonissima nei minestroni, nelle frittate, nelle crepes salate, è considerate un presidio slow food tipico dei Monti Sibillini, dove si cucina in salse di pomodoro.
Generalmente ne viene prodotta poca, per via della difficoltà di raccolta dovuta ai luoghi impervi dove ama nascere, e quella poca è da ritenere una buona fonte di proteine vegetali.
Una classica ricetta a base di roveja si ottinene cuocendone la farina insieme a quella di farro, per poi condirla di salsa ai funghi.
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Il lupino, che tra i legumi è una delle migliori fonti di vitamina B1, fosforo, magnesio e zinco, è una fabacea di taglia simile alla fava, molto consumata nell’area mediterranea e in Sud America più come uno snack che come un cibo principale vero e proprio.
Oltre ad essere altamente proteico, il lupino copre un vasto spettro di amonoacidi essenziali. Contiene diversi tipi di carotenoidi, fibra alimentare e tocoferolo. In generale è una delle migliori fonti di proteine e fibra poiché altamente digeribili e assimilabili; inoltre è molto meno tossico di tutti gli altri legumi in termini di saponine e ha proprietà probiotiche. La sua tossicità intrinseca è legata ad alcuni alcaloidi neurotossici in caso di un consumo continuo e prolungato.
Noto per il suo sapore tipico, un po’ amarognolo, il lupino era già amato ai tempi dei faraoni ed era molto comune tra gli antichi Romani. Il sapore amaro è indice della presenza di un alcaloide che ci dice di moderarne il consume.
Si consuma marinato in salamoia, cotto così com’è, ma ne esistono in commercio anche farine e tofu.
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