Intervista

Verso un'ecologia della salute

La salute dell'uomo e la salute del Pianeta sono legate a doppio filo. Ne abbiamo parlato con Roberto Romizi, presidente di Isde Italia – Medici per l’ambiente.

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Questo 2020 ci ha portati a riflettere sul valore della salute, un patrimonio prezioso che non può essere mai dato per scontato. Ma ciò non ci autorizza a lasciar scivolare nell’oblio le altre crisi che caratterizzano la nostra epoca, in primis quella climatica e ambientale. Anzi: se ci troviamo immersi in una pandemia è anche perché l’equilibrio tra uomo e ambiente si è infranto. Ne parliamo con Roberto Romizi, presidente di Isde Italia – Medici per l’ambiente

 

Autorevoli studi scientifici sostengono che la pandemia sia stata innescata anche dalla distruzione degli ecosistemi. In che modo?

Questa pandemia è legata strettamente a questo squilibrio ambientale, all’urbanizzazione, alla perdita di biodiversità, alla deforestazione, agli allevamenti intensivi e allo scorretto rapporto tra uomo e animale che ha favorito lo spillover, cioè il passaggio del virus dall’animale all’uomo

 

Ora giustamente si parla della pandemia in corso che, descritta in termini medici, è una situazione acuta o subacuta che prima o poi metteremo sotto controllo attraverso un vaccino. Ma non dev’essere totalizzante perché bisogna tenere conto anche della criticità ambientale. La crisi climatica è la principale minaccia globale e, una volta superata una certa soglia, diventa irreversibile. E non esistono vaccini.

 

Lei ha dichiarato che “non possiamo tornare al modo in cui abbiamo fatto le cose prima”. Qual è in questo momento il nostro punto debole?

Le istituzioni internazionali, nazionali e locali sono di fronte a un bivio. Il rischio è quello di tornare non solo al pre-crisi ma a una situazione addirittura peggiore, a causa delle criticità economiche che porteranno a un allentamento delle salvaguardie ambientali. 

 

Alcuni politici chiedono per esempio condoni edilizi, nuove strade e autostrade. Si muovono prevalentemente sull’innovazione tecnologica e sulla semplificazione delle procedure amministrative per velocizzare proprio ciò che non ha funzionato finora. 

 

A livello internazionale la responsabilità di questa crisi pandemica, ma anche socio-ambientale e climatica, è il modello di sviluppo attuale. Perché questo è connesso a un’economia lineare che sposta le risorse in una visione di brevissimo termine, finalizzata alla massimizzazione dei profitti.

 

I cicli agricoli e industriali sono sempre più veloci, intensivi e contaminanti, depauperano le risorse naturali ed energetiche, compromettono la fertilità dei suoli e la biodiversità, aumentano i rifiuti e l’inquinamento. C’entra anche quella che chiamiamo “la grande distrazione”: i popoli sono distratti da finte emergenze. Il cuore del problema, insomma, è l’approccio economico-utilitaristico

 

Il modello di sviluppo attuale è legato a un consumismo determinato a sua volta da errati stili di vita e da un deterioramento ambientale. Questi fattori hanno provocato non solo il coronavirus ma anche obesità e patologie metaboliche, respiratorie, cardiovascolari, neoplastiche, neurodegenerative. È tutto collegato a questi comportamenti impropri. 

 

Come si dovrà evolvere il nostro modello di sviluppo?

Dobbiamo abbandonare l’economia lineare e imboccare la strada dell’economia circolare. Oltre a rivedere il modello di sviluppo, è necessario riaffermare le politiche di bene comune e concentrarsi sulle cause strutturali della pandemia, della crisi climatica e della crisi ambientale, avviando un cambiamento radicale. 

 

Ciò significa, per esempio, che bisogna mettere in sicurezza le infrastrutture esistenti, riqualificare le aree inquinate, favorire la rigenerazione urbana, provvedere all’adeguamento sismico degli edifici, tutelare il patrimonio forestale e boschivo. 

 

È fondamentale tener conto del ruolo dei giovani. La strategia europea si chiama Next Generation Eu, ma mi sembra proprio che in questa fase le nuove generazioni non siano state coinvolte abbastanza. Il contributo messo a punto dai Fridays for future è molto valido.

 

Anche l’approccio alla prevenzione e alla cura è da ripensare?

Nel mondo medico bisogna favorire la prevenzione primaria in ambito ambientale e degli stili di vita e bisogna rilanciare il servizio pubblico. La medicina deve sprecare meno risorse e limitare il cosiddetto “consumismo sanitario” fatto di esami inutili e terapie inappropriate; si tratta di una questione culturale.

 

Chi ha il compito di orientare questo cambiamento?

A livello internazionale, sul clima è fondamentale l’apporto delle Nazioni Unite anche in vista della Cop 26 di Glasgow del prossimo anno. 

 

I governi europei, nazionali e locali dovrebbero agire in un’ottica di integrazione. Integrazione rispetto ai vari livelli ma anche alle varie tematiche. Dovrebbero seguire l’approccio One Health dell’Oms che mira a disegnare programmi, politiche e ricerche in sinergia tra vari settori: ambiente, salute pubblica, salute animale, agricoltura, trasporti, energia… 

 

C’è anche una responsabilità da parte dei medici che devono prendere sempre più coscienza di questi aspetti di prevenzione primaria ambientale. 

 

Può citare qualche progetto significativo in campo medico?

A inizio anno Isde Italia, FNOMCeO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri), Cipomo (Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri) e Slow Medicine hanno stilato un documento a cui hanno aderito svariate società scientifiche. 

 

Queste realtà si sono impegnate a individuare, mettere in atto e diffondere buone pratiche professionali capaci di influire sulla popolazione generale. Nello specifico, evitare gli sprechi correlati a progetti di diagnosi e cura prescritti in modo inappropriato, promuovere il buon uso di materiale sanitario, vigilare sull’esposizione corretta a radiazioni ionizzanti.

 

Una novità sta nel fatto di attivarsi contro la dispersione di inquinanti nell’ambiente, in particolare nel campo dei farmaci. Con il concetto di “prescrizione ecologica” si fa riferimento all’impatto ambientale dei farmaci nella fase di produzione, distribuzione, prescrizione e assunzione e all’analisi del loro grado di biodegradabilità e bioaccumulo. 

 

Già dagli anni Novanta Isde, a livello internazionale, aveva messo a punto un progetto che aveva portato alla predisposizione di un prontuario che collegava ciascun farmaco alla sua biodegradabilità e ai suoi possibili effetti nocivi sull’ambiente. Per alcune categorie, come gli antipertensivi, esistono farmaci equivalenti che sono meno dannosi per l’ambiente rispetto ad altri e andrebbero quindi privilegiati. Stiamo mettendo a punto una white list sulla base dei criteri di biodegradabilità. 

 

Per entrare nel livello politico, secondo Isde bisognerebbe finanziare di più il servizio sanitario pubblico e la prevenzione eliminando il regionalismo differenziato. Un altro progetto che stiamo portando avanti è la rete di medici sentinella per l’ambiente – RIMSA. 

 

Tra i rischi ambientali, uno dei principali è l’inquinamento atmosferico. Oltre al tumore al polmone, è correlato anche ad altre patologie?

L’inquinamento atmosferico determina il 36% dei decessi per tumore al polmone ma anche il 34% di quelli per ictus e il 27% di quelli per disturbi cardiaci. Oggi oltre il 90% della popolazione del mondo respira aria inquinata. 

 

Per avere una visione d’insieme, la globalizzazione, l’industrializzazione e il consumismo portano a due livelli di criticità: quella sociale ma anche quella ambientale, con l’incremento delle sostanze chimiche pericolose, l’inquinamento di aria, acqua e suolo e la perdita di biodiversità. 

 

Tutte queste situazioni determinano malattie cronico-degenerative, immunologiche, endocrine, neoplastiche, ma anche disfunzioni riproduttive, malattie mentali eccetera. Se cambieremo il modello di sviluppo, le conseguenze positive si manifesteranno a tutti i livelli, compreso quello sanitario.

 

Molte scelte dipendono dalla politica e dai sistemi sanitari. Ma cosa possiamo fare noi, come cittadini, per tutelare la nostra salute?

Tutti i cittadini possono e devono fare qualcosa. Banalmente, se tutti si muovono in auto, gli amministratori penseranno di risolvere i loro problemi costruendo strade e parcheggi. Se invece i singoli prediligono la bici e i mezzi pubblici, accadrà il contrario. Questo principio è valido per qualsiasi settore, dall’abbigliamento all’alimentazione. 

 

Certamente i cittadini hanno un ruolo fondamentale, perché possono dare un messaggio forte di cui la politica deve prendere atto. È vero anche, però, che non possono farcela da soli: senza le normative non si arriva al traguardo.

 

Visto che la prevenzione primaria ambientale è particolarmente difficile, le amministrazioni finora si sono focalizzate sulle campagne educative legate al fumo, all’alimentazione, all’alcool e così via. Sono tutte iniziative giustissime, ma non si può scaricare la responsabilità della salute pubblica solo sui cittadini, minimizzando quella dei decisori politici.