Depressione post-partum: cause ormonali o sociali?
In Italia circa una donna su dieci vive l’esperienza della depressione post-partum. Riflettiamo su questo problema, includendo il peso delle relazioni sociali e delle condizioni di vita con cui le neomamme si trovano a dover fare i conti
Nel periodo successivo al parto, migliaia di donne sperimentano uno stato di tristezza e scoraggiamento che, a seconda del periodo in cui si manifesta e la sua intensità, viene considerato un disturbo lieve o una forma di depressione che, nei casi più rari, può trasformarsi in uno stato psicotico rischioso per la vita della donna e per quella del neonato.
Secondo le stime, in Italia ogni anno circa il 70% delle donne che portano a termine una gravidanza soffre di un disturbo dell’umore lieve e passeggero - conosciuto come baby blues -, mentre tra l’8% ed il 15% soffre di depressione post-partum e l’1% di psicosi post-partum.
Quando gli ormoni sembrano essere gli unici colpevoli
La maggior parte della letteratura sul tema afferma che le cause di questo tipo di disturbi non sono del tutto chiare, ma la tendenza è quella di attribuirlo agli sbalzi ormonali, un aspetto senz’altro importante, soprattuto per quanto riguarda la sindrome transitoria baby blues vissuta nei giorni successivi al parto. Tuttavia, quando il problema si prolunga ed intensifica, le spiegazioni biologizzanti non bastano.
Sul sito del Ministero della Salute si afferma che “la donna si sente triste senza motivo, irritabile, facile al pianto, non all’altezza nei confronti degli impegni che la attendono. Inoltre, un sentimento ricorrente tra le neomamme, che si trovano a dover affrontare questo problema, è la vergogna mista a senso di colpa”.
Ma davvero le donne si sentono tristi “senza motivo” dopo aver dato alla luce? Una visione di questo tipo, oltre a farci venire in mente gli stereotipi sessisti relativi all’“irrazionalità” del genere femminile, offusca i fattori che possono essere determinanti nell’insorgere del problema.
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I fattori sociali della depressione post-partum
Se proviamo a ricordare o immaginare cosa accade nella vita di una donna dal momento del parto, emergono vari elementi che concorrono a provocare questo tipo di depressione.
In primo luogo il parto, fonte di ansia e paure, è un momento della vita estremamente medicalizzato le cui modalità sono state progressivamente sottratte alla libertà decisionale della donna.
Soprattutto l’ospedalizzazione prenatale e il parto cesareo possono essere esperienze traumatiche, tanto da essere riconosciute come fattori di rischio nella categoria “Aspetti riproduttivi avversi”, insieme alla gravidanza non voluta, nullipara o primipara, l’aborto spontaneo o indotto, precedente natimortalità e problemi medici coincidenti (Indagine conoscitiva “Nascere sicuri”, 2012: 97).
Dopo il parto lo stile di vita della donna può subire profonde trasformazioni, complici la precarietà del mondo del lavoro, il sistema dei congedi di maternità e la mancanza di un solido welfare state. Nel nostro Paese, inoltre, il compito di prendersi cura del prossimo e dell’ambiente domestico ricade ancora sulle donne, posizionandoci all’ultimo posto in Europa in quanto a parità di genere nell’uso del tempo (dati Istat).
Oltre a questa divisione di ruoli che già di per sé vige durante la vita di coppia senza figli, si unisce l’aumento della mole di lavoro domestico realizzato dalle donne con l’arrivo di un figlio. Così, il tempo da dedicare ai progetti professionali, alle relazioni interpersonali, al benessere ed alla propria persona, diminuisce e, con esso, l’autostima.
Parallelamente, mariti e compagni continuano a svolgere il lavoro retribuito che avevano prima di diventare papà, riducendo il tempo che potrebbero dedicare al ruolo paterno.
Se la situazione vissuta dalle neomamme è simile a quella sopra descritta –e in Italia lo è in gran parte dei casi- appare fuori luogo affermare che le neomamme sono tristi “senza motivo” ed attribuire agli squilibri ormonali ogni relazione di causalità con la depressione post-partum.
Dovremmo iniziare a pensare, invece, che questo problema dipende in buona misura dalle condizioni in cui la donna si trova a vivere il periodo del puerperio, le quali sono determinate non solo dalle scelte personali, ma anche e soprattutto dal sistema sociale e dal tipo di mandato sociale differenziale assegnato ai due generi che rendono difficile conciliare vita familiare e professionale.
Dove sono le soluzioni
Le cause e i fattori di rischio della depressione post-partum non si riducono all’aspetto ormonale, ma hanno radici ben più profonde che includono le caratteristiche del sistema medico vigente ed i ruoli di genere.
Pertanto le soluzioni non devono essere ricercate soltanto nella medicina curativa che, attraverso le cure farmacologiche, può generare una serie di conseguenze negative come l’interruzione dell’allattamento, quanto piuttosto nella riduzione della vulnerabilità delle donne a questo tipo di depressione.
Le vie da seguire devono situarsi sia nel campo delle politiche sanitarie, attraverso la promozione di un parto demedicalizzato, attivo e dolce; sia nel campo delle politiche di parità che diano impulso alla genitorialità condivisa mediante il congedo di paternità, la flessibilità dell’orario lavorativo, la creazione di nidi sul luogo di lavoro, la possibilità di lavorare da casa, il rafforzamento di reti di sostegno familiari e professionali.
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