Coltivare sotto i pannelli fotovoltaici per risparmiare energia?
L'agrivoltaico è una pratica annoverata dal Pnrr per aumentare il contributo di energia pulita. Secondo Enea, è possibile coltivare ortaggi sotto i pannelli. Ma c'è chi mette in guardia sul rischio di compromettere la fauna locale.
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Energia rinnovabile, agricoltura sostenibile e allevamenti possono convivere serenamente nei cosiddetti campi agrivoltaici, ovvero in terreni a vocazione agricola coperti da pannelli fotovoltaici.
Così, mentre il campo produce energia pulita, la coltivazione di frutta e ortaggi può prosperare. In Italia i campi agrivoltaici fanno rete e sono disseminati ovunque: tra Lombardia ed Emilia Romagna se ne contano almeno 30 ettari mentre in Sardegna si prevede la realizzazione di un parco agrovoltaico con una potenza di 60 megawatt sui terreni di un'azienda agricola.
Enea lancia un network di imprese e istituzioni
A proposito di agrivoltaico, Enea (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile) ha lanciato un’iniziativa aperta a imprese, istituzioni, università e associazioni di categoria per promuovere l’agrivoltaico sostenibile, in modo da consentire di produrre energia elettrica da fotovoltaico e, al tempo stesso, di coltivare i terreni.
All’idea di Enea hanno già dato il proprio sostegno l’Associazione Italiana Architettura del Paesaggio (AIAPP), Confagricoltura, il Consiglio dell’Ordine Nazionale dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali (CONAF), Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica), Italiasolare, Legambiente, REM Tec, Società Italiana di Agronomia (SIA) e Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.
“L’obiettivo del network è di arrivare alla definizione di un quadro metodologico e normativo” scrive Enea “di linee guida per la progettazione e valutazione degli impianti, di strumenti di supporto ai decisori e di contribuire alla diffusione di conoscenze e promuovere le eccellenze italiane nei settori delle nuove tecnologie per l’energia rinnovabile, dell’agricoltura e del paesaggio”.
Una task force multidisciplinare che si inserisce nel più ampio contesto della transizione ecologica auspicata dagli stakeholders e prevista del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (Pnrr), che per lo sviluppo dell’agrivoltaico prevede investimenti per 1,1 miliardi di euro e una capacità produttiva di 2,43 GW.
Rilanciare il fotovoltaico
Addirittura, secondo Enea, lo sviluppo dell’agrivoltaico potrebbe contribuire a superare alcune delle criticità che oggi ostacolano la crescita del fotovoltaico. Secondo uno studio condotto insieme all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, le prestazioni economiche e ambientali degli impianti agrivoltaici sono simili a quelli degli impianti fotovoltaici a terra, soprattutto se si utilizzano tensostrutture per limitare l’impiego di acciaio e cemento.
“Alcune tipologie di installazioni agrivoltaiche (es. pannelli a 5 m di altezza, ricorso a tensostrutture) incidono in misura relativamente limitata sul consumo di suolo rispetto agli impianti a terra e, in specifiche condizioni ambientali (es. stress idrici), possono permettere di conseguire un aumento della resa di alcune colture in quanto l’ombra generata dagli impianti agrivoltaici, se ben calibrata, riduce la temperatura del suolo, e il fabbisogno idrico delle colture” spiega Alessandro Agostini, ricercatore Enea e tra gli autori dello studio.
“In specifici contesti, l’agrivoltaico può contribuire ad aumentare la resilienza del settore agroalimentare rispetto agli impatti del cambiamento climatico e contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030”.
Agrovoltaico tra vantaggi e svantaggi
Quindi l’agrivoltaico ha solo vantaggi? Secondo Enzo Cripezzi, coordinatore Lipu per Puglia e Basilicata, le cose non stanno proprio così. “Rispetto a quanto vantato dai fautori senza se e senza ma dell’agrivoltaico, si devono controdedurre una serie di aspetti di estrema importanza: dette proposte progettuali, infatti, non tengono conto di tutte le componenti ambientali. Fauna coinvolta, effetti cumulativi e sinergici su più ampia scala con altri impianti e opere che erodono il territorio e conseguenze sul piano microclimatico”.
Cripezzi si concentra sui rischi per la fauna. “A pagare il prezzo di queste pesanti alterazioni sono le peculiarità paesaggistiche e le specie faunistiche ad elevata importanza conservazionistica che usano questi agroecosistemi come risorse trofiche o per la riproduzione e la sosta: ad esempio l’occhione, molte specie di alaudidi, diverse specie di rapaci come il nibbio reale, in alcuni casi anche la ghiandaia marina e la pernice di mare”.
Fotovoltaico sulle superfici urbanizzate
Secondo Cripezzi, si assiste quindi a una sostanziale sottrazione di territorio vitale per queste specie. A cui si aggiungono rettili, anfibi, tassi, istrici e lupi. “La natura ha bisogno di ecosistemi sani, non di spot di discutibile serietà per conseguire patentini di legittimità”.
Lo spazio per ospitare nuovi pannelli c’è e sta nelle “immense superfici urbanizzate del paese (strade, abitazioni, capannoni, parcheggi, industrie, ecc) che ben potrebbero ospitare tali impianti in un ottica di usi plurimi delle aree ormai antropizzate e biologicamente morte”: il coordinatore Lipu evidenzia che la superficie urbanizzata in Italia è di oltre 750.000 ettari “nel solo periodo 1995-2005, quindi nemmeno interessante dal punto di vista storico”.
“A margine di tutta la questione è opportuno evidenziare in ogni caso che le rinnovabili, e quindi il territorio, non possono soddisfare la nostra obesità energetica. Si pone una ineludibile necessità prioritaria di perseguire una rimodulazione dei nostri stili di vita nonché risparmio, efficienza e soprattutto ricerca nel settore, rigorosamente pubblica”.