Intervista

Parliamo di gas e inverno alle porte: cosa dobbiamo aspettarci davvero?

L’inverno si avvicina, le tensioni geopolitiche internazionali sembrano ben lontane da una risoluzione, e tra gli italiani inizia a serpeggiare una certa preoccupazione. Abbiamo parlato delle prospettive per il futuro con Nicola Armaroli, chimico, dirigente di ricerca presso il Consiglio nazionale delle ricerche e direttore della rivista Sapere.

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L’inverno si avvicina, le tensioni geopolitiche internazionali sembrano ben lontane da una risoluzione, e tra gli italiani inizia a serpeggiare una certa preoccupazione.

Di quanto aumenteranno ancora le bollette già alle stelle? Siamo davvero disposti ad accettare una vita quotidiana un po' più scomoda, mettendoci un maglione più pesante in casa e rinunciando alle lunghe docce bollenti? E, soprattutto, questi piccoli sacrifici individuali serviranno per garantire la tenuta del sistema energetico nazionale

 

In un periodo di confusione, promesse elettorali e ipotesi tutte da dimostrare, abbiamo voluto porre queste domande a qualcuno che può rispondere con gli strumenti della scienza: Nicola Armaroli, chimico, dirigente di ricerca presso il Consiglio nazionale delle ricerche, membro dell’Accademia nazionale delle scienze e consulente del governo in carica. Oltre a dirigere la rivista Sapere, Armaroli ha all’attivo oltre 250 articoli scientifici e numerosi libri: il prossimo è in uscita proprio a settembre 2022 e si intitola “Un mondo in crisi. Gas, petrolio, rinnovabili, clima: è ora di cambiare” (edizioni Dedalo). 

 

Si discute della necessità di adattare il nostro stile di vita individuale al taglio delle forniture di gas, per esempio abbassando la temperatura del riscaldamento. Simili accorgimenti, se adottati su larga scala, possono servire a tamponare la situazione?

Il punto di partenza è che dobbiamo fare a meno di una quantità non trascurabile di gas russo. I 30 miliardi di metri cubi che ci ha fornito la Russia lo scorso anno, pari al 40% dei nostri consumi, non sono sostituibili nel breve termine: non c’è rigassificatore che tenga, non c’è fornitura di gas liquido che tenga. Cina, India e Giappone, infatti, non sono rimasti a guardare e hanno siglato numerosi contratti. E di gas liquido sui mercati ce n’è poco o per nulla. 

 

La nostra unica prospettiva di avere in fretta quote extra di gas, vera e concreta, è quella di abbattere i consumi. Non possiamo immaginare di passare l’inverno in tranquillità perché abbiamo gli stoccaggi pieni al 100%, non funziona così. In una tipica giornata invernale, il gas arriva per metà dagli stoccaggi e per metà dall’importazione giornaliera. Se quest’ultima è fortemente ridotta, andiamo in crisi in fretta: man mano che si svuota, inoltre, il giacimento di stoccaggio eroga sempre meno gas perché la pressione diminuisce.  

 

Ci resta dunque il risparmio. Inizialmente l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) e il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani hanno presentato uno studio che diceva che avremmo risparmiato 2,7 miliardi di metri cubi di gas metano coi comportamenti individuali. Secondo me è una sottostima, tant’è che il Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas naturale è più ottimista. Per “comportamenti individuali” si intendono la doccia di tre minuti, i termostati abbassati di 1-2 gradi se non ci sono anziani in casa, la riduzione di un mese del periodo di accensione dei riscaldamenti e così via. Il tutto va unito al risparmio di energia elettrica, prodotta per il 40% dal gas con punte del 60% d’inverno. 

 

Queste azioni di risparmio sono state derise per anni perché, finché l’energia costa poco, nessuno si pone problemi. Quando non c’è altra scelta, allora il risparmio torna importante. C’è da sperare che sia un inverno mite, ma su questo nessuno ovviamente è in grado di fare previsioni.

 

C’è il rischio di un aggravarsi dalle disuguaglianze tra chi sarà costretto a fare rinunce e chi, bene o male, continuerà a fare la vita di prima perché economicamente se lo può permettere? Ci sono i mezzi per evitarlo?

Sicuramente ci sarà la possibilità di eludere le nuove regole perché è impensabile che vi siano controlli di casa in casa. La situazione è molto preoccupante anche dal punto di vista sociale, perché ci sono famiglie e aziende che non possono letteralmente permettersi di pagare queste bollette.

 

Lo Stato sta giustamente aiutando famiglie e imprese in difficoltà, ma allo stesso tempo dovrà accollarsi gli aumenti stratosferici delle bollette di ospedali, scuole, università, uffici della pubblica amministrazione e così via. È inevitabile che si indebiti ulteriormente e saranno le fasce più fragili della popolazione a pagarne le conseguenze, nel medio-lungo termine. 

 

Quello che certamente avverrà, come sempre durante le crisi energetiche, è l’abbassamento dei consumi indotto dall’impennata dei prezzi. Se questo però innesca una crisi economica, il risultato sono licenziamenti e lavoratori in cassa integrazione, con ulteriore aggravio per lo Stato.

 

Che ruolo ha la speculazione finanziaria sul gas? Lo Stato può concretamente fare qualcosa per arginarla?

È in vigore un meccanismo perverso, voluto a suo tempo anche dai governi europei. Dal 2010 il prezzo del gas è stato svincolato da quello del petrolio. Si è creato un mercato a parte che è andato fuori controllo, determinando il prezzo giornaliero per tutti senza alcuna giustificazione reale. L’aumento del gas era già iniziato prima della guerra. Questa è la prova del nove: la politica interverrà sugli effetti scellerati del mercato, o ormai li considera ineluttabili? 

 

Il mercato del gas a sua volta trascina quello dell’elettricità. Per il sistema del cosiddetto prezzo marginale, ciascun produttore offre l’elettricità a un determinato prezzo, ma a vincere è quello più alto. Se quindi l’energia prodotta da fotovoltaico costa 10 e quella prodotta da gas costa 100, il cliente finale pagherà 100. Questo è un meccanismo di mercato che si può cambiare, e una politica degna di questo nome deve farlo. È inutile invece sperare di realizzare un price cap sul gas: a decretare il prezzo è chi vende, non chi compra. 

 

Uno dei motivi per cui l’Unione europea non agisce in maniera coesa sta nel fatto che il portafoglio energetico dei suoi 27 paesi è molto eterogeneo: in Germania la prima fonte è il petrolio, in Italia è il gas, in Francia è il nucleare. A monte, in Europa non abbiamo mai avuto una politica energetica comune. Ora ne paghiamo duramente il prezzo.

 

Considerato che il governo si insedierà a ottobre, avrà il tempo di attuare interventi utili per l’inverno?

Il governo in carica sta continuando a svolgere le sue funzioni, su questa crisi, in modo pressoché ordinario. Di sicuro la situazione politica incerta non aiuta, ma resta il fatto che il vincitore delle elezioni – indipendentemente da chi sarà – avrà margini di manovra limitati, perché dovrà fare i conti con forti vincoli esterni.

 

Nessuno sa esattamente come andrà a finire nei prossimi mesi. Tra gli aspetti che di solito non vengono discussi c’è anche il fatto che il gas sia una materia prima fondamentale per l’industria chimica. Se le grandi industrie chimiche tedesche – fortemente dipendenti dal gas russo –diminuiranno la loro produzione, ci sarà un effetto domino su altri settori industriali:

  • agroalimentare;
  • farmaceutica;
  • elettronica;
  • polimeri;
  • carta


e così via.


​​​​​​​Insomma, il metano non è solo energia, ma serve anche per fare delle “cose”. Compresi i fertilizzanti e, quindi, il cibo.

 

Passando alle soluzioni di medio-lungo termine, in campagna elettorale si è discusso anche di un possibile ritorno al nucleare, con le centrali di quarta generazione. In termini di tempi e costi, è una strada percorribile?

No. Le centrali di quarta generazione le studiavamo trent’anni fa all’università, non esistevano all’epoca e tuttora non esistono. Anche se esistessero, per costruirle servirebbero almeno vent’anni. E noi dobbiamo decarbonizzare il nostro sistema energetico entro il 2050: non abbiamo tempo.

 

È inutile parlare di nucleare quando è una prospettiva lontana e che comporta costi enormi. L’unico reattore acceso in Europa negli ultimi venti anni è quello di Olkiluoto-3, in Finlandia, che è costato il triplo del previsto e non ha ancora immesso in rete un singolo kWh di elettricità. Lo farà, forse, a dicembre. Il reattore in costruzione nel Regno Unito, Hinkley Point C, è costato quasi il doppio rispetto ai piani iniziali: doveva entrare in funzione nel 2017, lo farà – forse – nel 2028.

 

Come ho scritto anche nel mio libro “Emergenza energia. Non abbiamo più tempo” (edizioni Dedalo, 2020), non abbiamo tempo da perdere con le discussioni sul nucleare. In Italia si cambia governo in media ogni 13 mesi e il 94% dei Comuni è collocato in zone a elevato rischio idrogeologico: com’è possibile progettare centrali e siti di stoccaggio di rifiuti nucleari in Italia, impegnandoci per secoli? Dobbiamo essere realisti: è la tecnologia che va adattata al mondo, non viceversa.

 

Le rinnovabili possono rappresentare una valida alternativa al gas?

L’unica prospettiva è quella di passare alle rinnovabili. La prima cosa da fare è l’elettrificazione, a cominciare dai trasporti. Le auto elettriche consumano un quarto dell’energia rispetto alle auto termiche, hanno una batteria che non va cambiata durante la vita dell’auto e che può essere riciclata.

 

Io ricarico la mia auto con l’energia prodotta sul tetto di casa: una casa che ha un robusto involucro esterno, è staccata dal gas, ha una pompa di calore geotermica, un impianto fotovoltaico per l’elettricità con batteria di accumulo (senza cobalto) e il solare termico per scaldare l’acqua per bagno e cucina. Che senso ha bruciare metri cubi di gas provenienti da altri continenti per farsi la doccia, se abbiamo a disposizione il calore del sole, che può farlo gratis e a km zero per almeno 8-11 mesi l’anno? 

 

La transizione energetica non sarà fatta da tecnologie complesse, futuribili e costosissime, come la fusione nucleare o lo stoccaggio sotterraneo della CO2. La soluzione ai nostri problemi sta nelle tecnologie semplici, già disponibili nel mercato e già competitive adesso: geotermico a basse temperature, fotovoltaico, eolico, batterie, smart grid, digitalizzazione della rete per bilanciare domanda e offerta.

 

Il problema più serio è che abbiamo fretta, siamo partiti in ritardo e dobbiamo fare una corsa forsennata. E non è detto che ce la faremo. Non è detto che il sistema industriale mondiale riesca a sostenere la transizione di otto miliardi di persone nei tempi necessari. La tecnologia risolve una parte dei nostri problemi, ma serve anche il senso del limite. Noi l’abbiamo superato ampiamente e ne stiamo già pagando le conseguenze.