Le miniere in Italia
L'Ispra sta catalogando i siti minerari presenti in Italia. Sono oltre 3000 e 630 di questi hanno gravi ripercussioni sull'ambiente. Un'opportunità sarebbe quella di renderli siti storici-museali.
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Le risorse minerarie sono state, sono e saranno l’elemento chiave per lo sviluppo delle civiltà umane. Lo dice l’Ispra, che a dicembre 2020 in audizione alla Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha presentato lo stato di fatto dell’Italia in merito alle miniere.
La premessa da cui partire è che le attività di estrazione e lavorazione dei minerali generano costi ambientali e sociali elevatissimi. Tali costi, attualmente, sono pagati dal cosiddetto terzo mondo e dalle economie emergenti.
Per limitare la dipendenza dei materiali, strategicamente critici, da questi paesi terzi, l’Europa si è dotata di una propria iniziativa, la Raw Materials Initiative che intende rendere più sostenibile l’accesso e la fornitura di materie prime al mercato, anche attraverso specifici partenariati con il mondo dell’industria, delle ong, servizi pubblici e università.
In linea con le indicazioni europee, anche l’Italia sta cercando di dotarsi di una apposita strategia, che dovrebbe essere condivisa tra Stato e Regioni, mirata verso l’efficienza, il riuso, il recupero, e la gestione sostenibile delle georisorse.
Un inventario nazionale per i siti minerari
L’Italia ha una lunga storia mineraria che inizia in tempi pre-romani. Ispra, con il supporto delle Regioni, sta cercando di identificare tutti i siti minerari presenti sul territorio. Attualmente sono stati catalogati 3015 siti in attività nel periodo compreso tra il 1870 ed il 2018.
Lo sfruttamento dei minerali metallici si è diffuso nelle Alpi, in Toscana, Calabria e Sardegna. Le miniere di zolfo hanno caratterizzato la Sicilia, Marche e Romagna. La lignite è stata coltivata principalmente nelle piane alluvionali dell’Italia centrale.
Ispra, insieme a Servizio Geologico d’Italia (SGI) sta realizzando un inventario nazionale delle attività estrattive di minerali, in esercizio e cessate, e delle associate problematiche ambientali.
Miniere: i numeri in Italia
Al 2018 esistevano 120 concessioni minerarie attive di cui 69 in produzione. Tra queste non ci sono estrazioni di minerali metallici attive (quella di Gorno, in Lombardia, potrebbe ritornare in produzione a breve), mentre diversi permessi di ricerca sono stati rilasciati per l’arco alpino, in Piemonte e Lombardia.
Per quanto riguarda l’impatto sull’ambiente, questo è fortemente condizionato dalle tipologie di materiali estratti a dai procedimenti di lavorazione. Secondo Ispra, le attività minerarie attualmente operanti sul territorio nazionale sono solo di minerali non metalliferi ed hanno un impatto decisamente minore rispetto alle miniere di minerali metalliferi.
Ma, in generale, le risorse minerarie solide sono irrimediabilmente sottratte alla crosta terrestre e quindi non sono rigenerabili in tempi umani.
Inoltre, l’estrazione avviene quasi sempre a cielo aperto e questo implica la totale modifica della morfologia dei luoghi, la loro deforestazione e la perdita dei suoli oltre che determinare la creazione di nuovi versanti, potenzialmente instabili.
L'abbandono dei siti crea problemi
E poi c’è tutto il capitolo dei siti abbandonati. La quasi totalità dei 3015 siti attivi su territorio nazionale dal 1870 a oggi risultano dismessi o abbandonati e per la gran parte di questi non sono state sviluppate attività di prevenzione o contenimento dell’impatto ambientale, con abbandono di ingenti quantitativi di scarti minerari.
La dispersione nell’ambiente di elementi tossici, derivanti sia dall’attività di estrazione sia da quella di trattamento e raffinazione, non è un problema da sottovalutare. Per Ispra, si tratta principalmente di metalli pesanti, diffusi per via aerea ma soprattutto per via chimica tramite il circuito delle acque superficiali e sotterranee.
Al 2017 sono 630 siti inseriti nell’Inventario nazionale delle strutture di deposito dei rifiuti di estrazione chiuse o abbandonate che hanno gravi ripercussioni negative sull'ambiente o che, a breve o medio termine e 209 di queste si trovano in Sardegna. Sul totale, 108 sono i siti ad alto rischio, 213 quelli a medio-alto. Ispra e SGI stanno elaborando i dati 2020.
Riqualificare le risorse minerarie per un ambiente pulito
Qual è l’opportunità per i siti dismessi? Il recupero storico-museale.
“La chiusura delle attività ci ha consegnato anche una eredità di grande valore storico, uno straordinario patrimonio di archeologia industriale, costituito da edifici residenziali e industriali, macchinari, scavi a cielo aperto, gallerie” hanno spiegato i tecnici di Ispra.
Nel 2018 è stata presentata la prima proposta di legge nazionale intitolata “Tutela e Valorizzazione dei siti minerari dismessi e del loro patrimonio storico, archeologico, paesaggistico, ambientale”.
Inoltre, le discariche minerarie presenti nei siti di estrazione possono contenere quantitativi non trascurabili di elementi che al tempo dell’estrazione non erano ricercati o il cui sfruttamento era antieconomico ma che con le attuali tecnologie è possibile recuperare. Parliamo, ad esempio, di fluoro, cobalto e vanadio, la cui importanza è cresciuta nel tempo, a seguito dello sviluppo dell’elettronica e delle nuove tecnologie, sino a diventare strategica.
Così, il recupero di materie prime dai rifiuti estrattivi storici può essere economicamente sostenibile e praticabile attraverso il concetto del riuso: su questo aspetto, Ispra ha aperto un tavolo con il Ministero dello sviluppo economico con l’obiettivo di proporre una modifica normativa che possa consentire sia il recupero delle risorse minerarie sia la rimozione di elementi di pericolosità ambientale.