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Avocado, quinoa, soia, anacardi: consigli per gli acquisti

Fare scelte sostenibili a tavola è un intento nobile, anzi necessario. Parecchi alimenti però rischiano di trarre in inganno: dalla quinoa all’avocado.

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©nadianb / 123rf.com

Quali sono i criteri con cui scegliamo cosa mettere nel piatto? Il sapore, certo; poi ci sono il costo, i valori nutrizionali, la tradizione. Per una fascia sempre più grande della popolazione, anche la sostenibilità è entrata a far parte di questa lista.

 

Ormai sappiamo bene che la carne rossa è l’insostenibilità per definizione, e dovremmo sforzarci di farne un consumo moderato. Ci sono però tanti altri alimenti che rischiano di trarre in inganno perché si sono costruiti una fama salutare e sostenibile che non sempre corrisponde alla realtà. Ecco un piccolo vademecum per ponderare i propri acquisti. 

 

Soia

Vegetariani e vegani non possono farne a meno: la soia, in tutte le sue forme (tofu, tempeh, germogli, salsa, burger…) è un alimento estremamente versatile e dalle ottime proprietà tradizionali.

 

Peccato però che la soia sia anche il motivo per cui la foresta amazzonica viene disboscata e incendiata a un ritmo preoccupante; secondo il Global Forest Watch, nel solo 2021 in Brasile è andato distrutto un milione e mezzo di ettari. La moratoria introdotta nel 2006 dal governo brasiliano ha sicuramente arginato l’emergenza, ma restano parecchie sacche di illegalità, come dimostra anche una recente inchiesta di Unearthed

 

Il consumo idrico delle coltivazioni inoltre è consistente: si parla di 2mila litri d’acqua per produrne un chilo, più del doppio dei 900 necessari per un’analoga quantità di grano. Certo, nulla a che vedere con i 15mila sprecati per produrre un kg di carne bovina!

 

Avocado

È instagrammabile, soprattutto sotto forma di avocado toast; è sano e nutriente, con il suo notevole apporto di grassi buoni; è versatile, perché lo troviamo nel sushi così come nel guacamole. Ma l’avocado sarà anche sostenibile? Anche in questo caso l’impronta idrica è tutt’altro che trascurabile: si parla di circa 2mila litri d’acqua per un kg di frutto, il quadruplo rispetto a quella necessaria per ottenere un chilo di arance. E questo è un problema soprattutto se viene coltivato in zone già molto aride, come accade in Cile.

 

Un’alternativa è quella di attingere all’ormai fiorente filiera dell’avocado made in Sicily, favorita dai cambiamenti climatici che hanno reso le condizioni meteo molto simili a quelle dei paesi tropicali d’origine. Così facendo, si evita anche di acquistare un frutto che ha viaggiato per migliaia di chilometri. Senza dimenticare, però, che le coltivazioni tradizionali siciliane sono altre: magari l’arancia, il fico d’india e il limone saranno meno modaioli, ma hanno una storia e un valore e non meritano di essere rimpiazzati da un giorno all’altro! 

 

Latte di mandorla

Nella dispensa di chi ha scelto uno stile di vita sano non può mancare il latte di mandorla. I produttori però non sono tenuti a indicare l’origine della materia prima: quest’obbligo sussiste soltanto per le mandorle, tant’è che i più attenti avranno notato che quelle in commercio arrivano per la stragrande maggioranza dalla California

 

Ma perché farle viaggiare per migliaia di chilometri, con l’impatto ambientale che ciò comporta? Semplice: perché la California è diventata la prima potenza globale, passando dai 1.700 chilometri quadrati di mandorleti del 1995 agli oltre 5mila dei giorni nostri. Il giro d’affari è stimato in 6,1 miliardi di dollari: tra le commodities agricole, soltanto latticini e vino valgono di più.

 

Una miniera d’oro, ma a farne le spese è l’ambiente: per il trasporto, e non solo. La California infatti è letteralmente messa in ginocchio da una gravissima ondata di siccità ormai pluriennale; e, secondo alcuni studi, servono addirittura 12 litri d’acqua per portare a maturazione una singola mandorla. 

 

Quinoa

Proteica, nutriente, saziante: la quinoa è un ottimo ingrediente per polpette e fresche insalate estive, a patto che venga sempre lavata con cura per ripulirla dalle saponine.

 

Anch’essa, però, viene coltivata dall’altra parte del mondo. Per la precisione, tra Bolivia, Perù ed Ecuador. Per lungo tempo è stata una fonte di sostentamento per i piccoli agricoltori, di pari passo con l’allevamento: la crescente domanda dall’Occidente però ha costretto a espandere oltremisura le piantagioni, adottando metodi di coltivazione intensivi che depauperano rapidamente il suolo e sacrificano la biodiversità.

 

Anche in questo caso, da poco abbiamo a disposizione un’alternativa tutta italiana: si tratta della prima filiera nostrana che è stata insediata ad Argenta, poco distante da Ferrara.  

 

Anacardi

Anche gli anacardi sono molto apprezzati per il loro gusto sfizioso e le loro eccellenti proprietà nutrizionali; sono anche l’ingrediente di base per diversi sostituti vegani del formaggio. Non tutti sanno però che oltre la metà della produzione globale è concentrata in appena tre Paesi: Vietnam, India e Costa d’Avorio.

 

Diverse inchieste condotte negli anni riferiscono di condizioni che per noi sono difficili addirittura da immaginare. Campi di anacardi vietnamiti in cui i tossicodipendenti vengono costretti a lavorare come forma di riabilitazione, salvo poi essere picchiati e rinchiusi senza cibo e acqua se si rifiutano. 500mila lavoratori in India (o meglio lavoratrici, perché sono quasi tutte donne) con ustioni alle mani dovute all’acido anacardico presente nel guscio.

 

Come evitare di rendersi involontariamente complici di queste plateali violazioni dei diritti umani? Per esempio verificando che nella confezione ci sia il marchio Fair Trade.