La fotografia naturalistica di Alessandro Gruzza
Le Dolomiti, emblema di bellezza e fragilità, sono il soggetto dello scatto realizzato da Alessandro Gruzza, fotografo naturalista tra i vincitori dell’edizione 2020 del Wildlife Photographer of the Year. Abbiamo chiesto all'esperto di paesaggi dolomitici se la fotografia naturalistica può aprire gli occhi sul clima che cambia.
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©Alessandro Gruzza
Un sottile manto nevoso addolcisce di luce il calare del giorno sul lago ghiacciato delle Pale di San Martino e rende lieve l’ora del crepuscolo di un luogo eletto a Patrimonio dell’Unesco, le Dolomiti.
Con questo scatto, “The blue pool”, Alessandro Gruzza è tra i vincitori nella sezione Ambienti terrestri dell’edizione 2020 del Wildlife Photographer of the Year, prestigioso concorso di fotografia naturalistica organizzato dal Natural History Museum di Londra.
C’è ancora futuro per la fotografia naturalistica perché la crisi climatica non ha ancora distrutto l’intera bellezza del mondo. Ma affinché sopravvivano altri paesaggi mozzafiato da immortalare e da vivere, occorre che alle immagini di una natura che cambia segua l’azione protettrice dell’uomo.
Ne abbiamo parlato con il fotografo naturalista originario di Trento ed esperto di paesaggi dolomitici.
Cosa è in grado di raccontare la fotografia naturalistica?
Una foto ha un potere emozionale in grado di unire cuore e ragione. E’ un messaggio lanciato a diversi livelli e si rivolge al singolo come alla collettività. La fotografia può essere foriera di informazioni importanti in grado di “smuovere” le decisioni personali e, a seconda dei casi, istituzionali.
La fotografia naturalistica, in particolare, è in grado di raccontare come la natura faccia bene all’uomo. Lo può fare spiegando i comportamenti animali e sono decisivi gli scatti su come, ad esempio, un insetto impollinatore si prodighi su un fiore. Lo può fare raccontando una bellezza fragile come è quella delle montagne.
Nelle immagini risiede un potere di far conoscere, sensibilizzare, raggiungere una consapevolezza mentale ed emotiva. Ed è la seconda quella che conta maggiormente oggi perché sui temi della tutela dell’ambiente siamo ormai oltre al semplice sensibilizzare, le persone cominciano a essere consapevoli dello stato di crisi in cui versa il Pianeta. Manca il cuore. Manca di capire che cambiare le nostre azioni, dal fare la differenziata correttamente al non gettare i rifiuti quando ci si trova in montagna, è una necessità dettata non soltanto dal fatto che sia giusto farlo. Deve essere così perché ci sta a cuore farlo, perché vogliamo bene a noi stessi e a quanto ci circonda. Su questo, la fotografia naturalistica può fornire uno stimolo.
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©Alessandro Gruzza
Nella tua esperienza in che modo la fotografia ha dovuto trattare il tema della crisi climatica o delle sue conseguenze?
Nelle mie foto generalmente racconto la bellezza. In particolare nel libro “La voce delle Dolomiti”, una raccolta di 88 immagini selezionate in 300 giorni di uscite, ho cercato di trasmettere da osservatore privilegiato quale massaggio hanno da darci queste montagne.
Nella natura la bellezza non è fine a se stessa, l’uomo vi può trovare la felicità e questa interconnessione benefica è già stata ripresa in diverse teorie ampiamente approfondite come Wilson ha fatto sulla Biofilia.
Nei testi a corredo delle immagini mi concentro però sul contrasto tra bellezza e fragilità: le meravigliose Dolomiti celebrate in tutto il mondo sono attrazione per tantissimi visitatori da ogni parte del mondo perché sono fantastiche, sì, ma scorci mozzafiato si alternano a zone ampiamente sfruttate per l’industria turistica o svendute al comparto sciistico arrivando a somigliare a dei luna park.
Col mio lavoro cerco di essere un’influenza positiva per chi ha possibilità decisionale. E’ comprovato che investire economicamente nel preservare l’ambiente abbia ricadute dirette e indirette economiche in positivo rispetto al profitto generato dal consumo immediato delle risorse disponibili di un ecosistema. Si tratta di lungimiranza immaginare la salvaguardia dell’ambiente come strategia economica a lungo termine.
Infine, va detto che i decisori siamo anche io e te, ciascuno nelle proprie scelte quotidiane: per questo un’immagine è in grado di parlare al singolo come alla collettività, al locale come al globale e concorsi come il Wildlife Photographer of the Year sono un’importante occasione per sottolinearlo.
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©Vittorio Ricci
Le Dolomiti non stanno tanto bene…
I ghiacciai si sono ridotti tantissimo. Nelle mie foto prodotte a distanza di anni si può vedere benissimo come il paesaggio è cambiato.
In particolare nel mio lavoro vedo molto chiaramente le conseguenze della tempesta Vaia del 2018, gli eventi estremi sono diventati frequenti e a novembre possono verificarsi nevicate eccezionali come poi avere periodi con temperature oltre i 35 gradi. Sicuramente questo territorio sta vivendo una fase di importanti cambiamenti.
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©Alessandro Gruzza
Come nasce una foto naturalistica? Ti sei occupato solo di Dolomiti?
Le Dolomiti sono il mio “giardino di casa” ed è stato per me naturale avvicinarmi alla fotografia a partire da questi paesaggi. Ho lasciato il mio lavoro di imprenditore dopo una formazione da ingegnere per dedicarmi alla fotografia in maniera professionale. Il contatto con la natura è fondamentale perché nella conoscenza di un luogo nasce l’occasione dello
scatto.
Quindi, prima avviene l'immersione nell'ambiente, entrare in sintonia con quanto sta intorno: la foto è uno strumento che permette di tradurre in visione creativa un’emozione. Poi ci sono attimi privilegiati come l’alba o il tramonto e questo richiede che in quei momenti uno sia lì, né prima né dopo, se vogliamo ritrovare quel preciso istante. Mi sento ospite ogni volta che vado sul campo.
Ho viaggiato nel mondo cercando il contatto diretto con la natura in ambienti incontaminati. Ho fotografato le Ande, gli altipiani desertici di alta quota, l'ambiente artico. In tutti questi viaggi si riceve la conferma di quanto nel mondo tutto sia collegato, nel bene e nel male.
Anche in questi luoghi così maestosi ho ricercato quella bellezza che merita rispetto e protezione affinché chi guardi queste foto sia mosso all’azione: tanto è stato distrutto nel mondo in cui viviamo ma tanto si può ancora rigenerare.
L’intervistato è Alessandro Gruzza, fotografo professionista vincitore di numerosi riconoscimenti tra cui il secondo premio del National Geographic Nature Photographer of the Year 2016, Asferico 2007 e 2010, Glanzlichter 2010 e 2013, International Photography Awards 2012, 2014, 2015 e 2016, WildlifePhoto 2017 e l’International Garden Photographer of the Year 2020. Collabora con il Muse, Museo delle Scienze di Trento.