Disturbo da stress post-traumatico: come nasce e come si può curare

Quando un evento doloroso continua a lasciare strascichi nella vita quotidiana, si parla di disturbo da stress post-traumatico (PTSD), un disagio mentale che va affrontato con l’aiuto di uno specialista.

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Il percorso di vita non è mai lineare e può esporre anche a eventi duri, imprevedibili e inattesi. Eventi che possono lasciare dietro di sé uno strascico di sofferenza che non si può pensare di superare solo con le proprie forze. In questo caso, in psicologia e psichiatria si parla di disturbo da stress post-traumatico.

 

Cos’è il disturbo da stress post-traumatico (PTSD)

Catalogato anche nel MSD, il Manuale diagnostico-statistico dei disturbi mentali, il disturbo da stress post-traumatico (noto con la sigla PTSD, dall’inglese post traumatic stress disorder) è stato studiato in modo sistematico per la prima volta sui veterani della guerra del Vietnam. Si tratta di una forma di disagio mentale che assume dimensioni invalidanti ed è figlia di un trauma vissuto o testimoniato, per esempio una guerra, la diagnosi di una malattia grave o una violenza.

 

Diverso, ma talvolta correlato, è il disturbo da stress acuto. In questo caso, infatti, i sintomi (amnesia, umore negativo, evitamento, irritabilità) compaiono nelle quattro settimane successive al trauma. Viceversa, si parla di PTSD quando i sintomi sono presenti mesi o anche anni dopo il trauma: talvolta è un’evoluzione del disturbo da stress acuto, talvolta invece insorge mesi o anni dopo il trauma senza che prima ci siano stati segnali evidenti.

 

L’incidenza del PTSD 

Il disturbo da stress post-traumatico è piuttosto comune: negli Stati Uniti si stima che ne soffra circa il 5% della popolazione, con un’incidenza che è doppia nelle donne rispetto agli uomini. Il fatto che sia stato diagnosticato per la prima volta nei veterani del Vietnam fa pensare che sia un problema a cui vanno incontro persone che hanno vissuto situazioni davvero estreme e particolari. In realtà, non è così raro assistere a eventi traumatici o subirli in prima persona; e le ricerche sostengono che in meno di un terzo dei casi si sviluppi poi il PTSD.

 

Senza dubbio suona preoccupante il fatto che, tra gli studenti dei college americani, le diagnosi di PTSD siano più che raddoppiate tra il 2017 e il 2022: dal 3,4 al 7,5%, su un campione di oltre 390mila partecipanti. È quanto emerge da uno studio citato dal New York Times. Un dato che il primo autore dello studio, Yusen Zhai, definisce come “scioccante” e attribuisce a vari fattori sociali di stress che incombono sui giovani, tra cui le sparatorie nelle scuole, i disordini sociali e, soprattutto, la pandemia. Una pandemia che ha rivoluzionato le loro vite in anni delicati come quelli dell’adolescenza e, in alcuni casi, ha portato via delle persone care.

 

Gli eventi traumatici che possono innescare il disturbo

Tra gli eventi traumatici che possono dare conseguenze psicologiche a lungo termine ci sono:

  • guerre e combattimenti;
  • violenza fisica o sessuale;
  • abusi subiti durante l’infanzia;
  • gravi incidenti automobilistici, aerei o sul lavoro;
  • disastri naturali come terremoti, incendi, uragani e inondazioni;
  • sparatorie e attentati terroristici;
  • problemi di salute importanti;
  • la morte improvvisa di una persona cara, soprattutto se in circostanze violente;
  • persecuzioni e violenze basate sull’identità etnica o politica;
  • rapimenti.

La persona può avere vissuto l’evento in prima persona o può esserne stata testimone: entrambe le situazioni possono innescare un trauma anche di lunga durata, soprattutto se non affrontate con l’aiuto di un professionista.

 

I sintomi del disturbo da stress post-traumatico

L’American Psychiatric Association (APA) suddivide in tre categorie i sintomi del disturbo da stress post-traumatico:

  • episodi di intrusione: la persona ha ricordi dolorosi, estremamente vividi, a tal punto da avere l’impressione di vivere il trauma per una seconda volta. L’esempio tipico è per esempio un forte rumore che può essere del tutto innocuo (perché dovuto magari a una porta che sbatte o a un oggetto che cade) ma che la persona interpreta istintivamente 
  • evitamento e mancata elaborazione: per settimane o mesi la persona cerca di allontanarsi da tutto ciò che le ricorda il trauma, focalizzandosi sulla routine ed evitando di lasciarsi andare alle emozioni. Questa mancata elaborazione, però, a lungo andare è controproducente perché porta ad accumulare ansia, tensione e senso di colpa, innescando talvolta un vero e proprio stato depressivo;
  • ipersensibilità e ipervigilanza: la persona si sente costantemente in pericolo, non riesce a concentrarsi e a memorizzare le cose, ha reazioni esagerate agli stimoli e talvolta, per domare il dolore, si affida ad alcool e droghe.

È evidente come tutte queste manifestazioni possano compromettere in modo anche pesante la vita sociale e non essere immediatamente comprese dall’esterno, soprattutto da chi non è a conoscenza del trauma. 

 

Le terapie per il disturbo da stress post-traumatico 

In presenza dei sintomi del disturbo da stress post-traumatico, non è pensabile farcela da soli, sperando che basti il tempo a risolvere tutto. Senza dubbio, il primo passo è quello di prendersi cura di sé sforzandosi di avere ritmi regolari, mangiare, dormire e fare movimento a sufficienza. Dopodiché, il primo interlocutore è il medico di base che può indirizzare allo psicoterapeuta più adatto che opera sul territorio.

 

Tra gli approcci più validi c’è la psicoterapia cognitivo-comportamentale, il cui obiettivo è quello di riconoscere i pensieri potenzialmente problematici e imparare gradualmente a “disinnescarli”. Tale approccio può avvalersi di diverse tecniche:

  • il rilassamento, anche attraverso la mindfulness;
  • l’esposizione graduale ai ricordi dell’esperienza traumatica;
  • l’EMDR, che cerca di abbassare la carica emotiva dei ricordi.

Più di rado il medico può prescrivere farmaci per controllare i sintomi, soprattutto se subentra uno stato depressivo.