Pfas: cosa sono?

Li chiamano “forever chemicals”, perché sono invisibili, onnipresenti e pressoché indistruttibili: stiamo parlando dei Pfas, un gruppo di composti chimici che sono stati impiegati dall’industria per decenni, nonostante i loro impatti negativi sulla salute.

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©Amritanshu Sikdar/Unsplash

Di Pfas in Italia si sente parlare da un decennio. Per la precisione, da quando si scoprì che l’allora fabbrica Miteni di Trissino, in provincia di Vicenza, aveva contaminato per anni le acque superficiali e di falda di un’area del Veneto dove risiedono 350mila persone. Ma i Pfas non sono un problema solo veneto, né solo italiano. Tant’è che, seppure con enorme ritardo, i governi di vari Paesi stanno cercando se non altro di regolamentare la loro concentrazione nelle acque.

 

Cosa sono e dove si trovano i Pfas

Pfas è un acronimo che sta per “sostanze perfluoroalchiliche”. Non a caso se ne parla al plurale, perché si tratta di un gruppo di centinaia di composti chimici sintetizzati a partire dagli anni Quaranta; i più noti sono il Pfoa (acido perfluoroottanoico) e il Pfos (solfato perfluorottanoico).

 

In virtù della loro eccezionale resistenza al calore, all’olio, alle macchie, al grasso e all’acqua, sono stati ampiamente adottati per la produzione di innumerevoli articoli di largo consumo, per esempio le schiume antincendio, le padelle antiaderenti, la carta oleata per alimenti, i cosmetici anti-acne, le corde per le chitarre, i circuiti elettrici, il filo interdentale e così via.

 

Il problema sta nel fatto che i Pfas sono tossici. E sono pressoché indistruttibili: si accumulano nell’acqua, nel suolo, nell’aria, nei sedimenti e anche negli organismi viventi, per non degradarsi praticamente mai. 

 

I Pfas in Veneto: il caso della ex-Miteni di Trissino

Uno dei più gravi casi al mondo di contaminazione da Pfas arriva dall’Italia, per la precisione da un territorio compreso tra le province di Vicenza, Verona e Padova. Lì dal 1965 sorse il polo chimico dell’azienda RiMar (Ricerche Marzotto), un centro di ricerca focalizzato sui composti per le industrie tessili e conciarie della zona. La fabbrica subì poi vari cambi di proprietà, prendendo il nome di Miteni.

 

Nel 2011, dopo che un progetto europeo aveva rilevato altissimi livelli di Pfoa nel fiume Po, anche le autorità italiane ed europee iniziarono a indagare nella zona. Proprio nello stesso periodo in cui un medico ematologo di Valdagno, in provincia di Vicenza, sollevava interrogativi sull’inusuale incidenza delle malattie del sangue, soprattutto tra gli ex-lavoratori di Trissino.

 

Nel 2013 l’Agenzia regionale per la protezione ambientale del Veneto (Arpav) pubblicò i risultati del suo studio, dal quale emergeva una grave contaminazione da Pfas nelle acque superficiali e di falda. La ex-Miteni si auto denunciò, precisando però come l’inquinamento fosse imputabile alle precedenti proprietà.

 

Di fronte alla comprensibile preoccupazione degli abitanti, amplificata anche dai media, le autorità regionali fecero installare filtri a carboni attivi negli impianti di distribuzione di acqua potabile. Parallelamente, intrapresero un’opera di sorveglianza sanitaria sulla popolazione, rilevando concentrazioni di Pfas nel sangue che non avevano niente di usuale. Nel frattempo, prese il via un iter giudiziario che ebbe come logica conseguenza la chiusura della fabbrica.

 

Le conseguenze dei Pfas per la salute

Sarebbe impreciso parlare di veri e propri sintomi dei Pfas, perché questi composti sono invisibili. La loro è una contaminazione silenziosa, ma non priva di conseguenze. Gli studi condotti finora evidenziano una possibile correlazione tra l’esposizione ai Pfas e aumento dei livelli di colesterolo nel sangue, ridotta risposta immunitaria ad alcuni vaccini, alterazioni nei valori degli enzimi epatici, preeclampsia, basso peso alla nascita, incidenza del cancro ai reni e ai testicoli.

 

Non si tratta di un rapporto diretto e inequivocabile di causa-effetto: insomma, non si può dire che una persona che per esempio assume acqua contaminata da Pfas sviluppi automaticamente questi disturbi. Il rischio dipende dalla durata, dall’entità e della frequenza dell’esposizione, da fattori individuali e da altri aspetti che incidono sulla salute, tra cui l’accesso all’acqua pulite all’assistenza sanitaria. 

 

Pfas nell’acqua: contaminazioni e limiti di legge

I Pfas preoccupano in particolar modo quando contaminano l’acqua, motivo per cui le varie amministrazioni hanno provato quanto meno a introdurre dei limiti. 

 

In Italia il decreto legislativo 13 ottobre 2015 n.172, che recepisce una direttiva europea del 2013, introduce per la prima volta gli standard di qualità ambientale per i cinque Pfas più diffusi nell’ambiente. Una nuova direttiva europea sancirà il limite di 100 nanogrammi per litro per la presenza complessiva di 24 di queste sostanze e di 500 per la somma di Pfas; perché entri in vigore anche in Italia, però, bisognerà aspettare il 2026.

 

Negli Stati Uniti, l’Autorità per la protezione ambientale (Epa) ad aprile 2024 ha finalizzato i primi standard validi a livello federale sulla presenza di Pfas nell’acqua potabile. Le soglie consentite sono molto severe, tanto da essere addirittura azzerate per Pfoa e Pfos. Stando a quanto dichiarato dal numero uno dell’Epa Michael Regan, questi nuovi limiti ridurranno l’esposizione ai Pfas di 100 milioni di persone e aiuteranno a prevenire “migliaia di decessi” e “decine di migliaia di gravi patologie”.

 

Come difendersi dai Pfas

Nel concreto, però, com’è possibile difendersi dai Pfas? Le società che gestiscono le acque pubbliche hanno a disposizione vari metodi per potabilizzare l’acqua prima che arrivi ai rubinetti, ma quelli rivelatisi più efficaci – e adottati anche in Italia – sono i filtri a carboni attivi.

 

Se si vive in aree in cui è stata rilevata una contaminazione da Pfas, è lecito chiedersi come eliminarli dal sangue. In realtà, vista la loro persistenza nell’organismo, si tratta di un processo estremamente lento: alcuni studi suggeriscono che ci siano farmaci che lo accelerano, ma è una materia ancora dibattuta.

 

Quello che ciascuno di noi può fare è ridurre l’esposizione ai Pfas nella vita quotidiana, attraverso alcuni semplici accorgimenti:

  • sostituire le padelle antiaderenti non appena mostrano segni di usura;
  • scegliere padelle di acciaio inossidabile, ghisa o ceramica;
  • trasferire il cibo da asporto nel piatto di ceramica, invece di mangiarlo direttamente dai contenitori di cartone;
  • acquistare tessuti antiacqua e antimacchia di alta qualità, prediligendo quelli che si dichiarano privi di Pfas;
  • conservare il cibo in frigorifero all’interno di contenitori di vetro.