Influenza aviaria, di cosa si tratta

Periodicamente negli allevamenti si scatenano focolai di influenza aviaria, una patologia virale che può contagiare anche l’uomo. Capiamo meglio come si contrae, come si manifesta e come si cura.

influenza-aviaria

Credit foto
©Wolfgang Ehrecke/Pixabay

 

Fatta eccezione per la nicchia degli addetti ai lavori, abbiamo scoperto la sua esistenza nel 2003, quando per la prima volta ha scatenato un allarme a livello globale. Ma anche adesso, dopo più di due decenni, periodicamente torniamo a sentirne parlare nei media, con toni più o meno preoccupati. Stiamo parlando dell’influenza aviaria, un’altra delle zoonosi con cui dobbiamo imparare a convivere.

 

Cos’è l’influenza aviaria

Si parla di influenza aviaria per riferirsi a vari sottotipi di virus influenzali di tipo A che contagiano pressoché tutte le specie di uccelli, tra cui quelle presenti nella nostra alimentazione come polli, tacchini, anatre, oche, quaglie. Se ne conoscono almeno una quindicina di sottotipi: quelli denominati H5 e H7 causano le epidemie più gravi e contagiose. 

 

In questi casi, la mortalità tra gli uccelli – soprattutto in ambienti chiusi, sovraffollati e promiscui come gli allevamenti – diventa altissima, anche superiore al 90%, e l’unica strada per controllare l’epidemia è quella di abbatterli, con grosse implicazioni etiche ed economiche.

 

Come tutti gli altri virus influenzali di tipo A, anche quelli che provocano l’influenza aviaria tendono a mutare facilmente e in modo imprevedibile. Il che complica le cose anche per eventuali vaccini, perché è possibile che un soggetto sia immunizzato per un ceppo ma contragga comunque la malattia da un altro ceppo.

 

Come si prende l’influenza aviaria

Così come il Covid-19, la rabbia, la leptospirosi, la malattia di Lyme e molte altre patologie, l’influenza aviaria è una zoonosi, cioè una malattia che può fare il cosiddetto “salto di specie” dall’animale all’uomo

 

I contesti più a rischio sono gli allevamenti, i macelli o i mercati di animali vivi, perché le persone entrano in contatto diretto con animali infetti (vivi o morti che siano) e con i loro escrementi. Anche il consumo di carne di pollame cruda, o di sangue crudo, è assolutamente da evitare perché espone a questo e altri patogeni anche molto pericolosi. Viceversa, non ci sono pericoli per chi vive semplicemente nei pressi di un allevamento ma non lo frequenta in prima persona.

 

Consumare pollame o uova non pone alcun rischio per l’uomo, poiché siano ben cotte. È importante anche lavare bene le mani dopo aver maneggiato pollame crudo, igienizzare le superfici ed evitare di riutilizzare per altre pietanze piatti e coltelli sporchi. Questa è una norma generale di igiene che va seguita a prescindere, perché tutela anche da patologie come la salmonella.

 

In Italia, come in tutta l’Unione europea, gli animali infetti da influenza aviaria non possono essere destinati al consumo umano: non c’è dunque motivo per temere di mangiare un pollo malato.

 

Di norma, il virus dell’aviaria non si trasmette da uomo a uomo. La letteratura scientifica ha riscontrato alcuni casi, tipicamente di persone che vivevano insieme ed erano a stretto contatto per diverse ore al giorno.

 

I sintomi dell’influenza aviaria

I ceppi virali H5N1 e H7N9, che causano la maggior parte dei casi di influenza aviaria nell’uomo, producono di norma sintomi simil-influenzali, come:

 

In alcuni pazienti la malattia può avere un decorso clinico più aggressivo, con: 

  • febbre superiore a 38°C; 
  • dispnea
  • difficoltà respiratorie;
  • diarrea, vomito e dolore addominale;
  • naso o gengive sanguinanti;
  • dolore toracico.

Se l’individuo è particolarmente vulnerabile e non viene sottoposto a cure tempestive e appropriate, può andare incontro a complicanze anche gravi.

 

La cura per l’influenza aviaria

Se i sintomi sono lievi, l’influenza aviaria viene curata come qualsiasi altra influenza stagionale, con il riposo, una buona idratazione e l’assunzione di antinfiammatori (ibuprofene) e antipiretici (tachipirina) al bisogno. Trattandosi di un virus, gli antibiotici sono del tutto inutili. Se invece le manifestazioni sono più serie, può essere necessario il ricovero in ospedale.

 

Da alcuni studi, sembra che due farmaci antivirali – zanamavir e oseltamivir – siano efficaci, se assunti entro 48 ore dall’insorgenza dei sintomi. Il cortisone viene prescritto soltanto quando le condizioni del paziente lo richiedono, per esempio in caso di asma.