Agroecologia: il significato, i princìpi, gli esempi
È possibile sfamare l’umanità senza prosciugare le risorse dell’ambiente. A questo mira l’agroecologia, un approccio che ha un valore anche in termini sociali, perché redistribuisce equamente le risorse e mette al centro gli agricoltori.
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Nel mondo siamo otto miliardi e, secondo le Nazioni Unite, arriveremo al picco di 9,7 miliardi di persone nel 2050. Miliardi di bocche da sfamare, producendo cibo a sufficienza senza però prosciugare le risorse del nostro Pianeta come sta facendo l’agricoltura intensiva. Come fare? Una possibile risposta arriva dall’agroecologia; ed è una risposta guidata dai principi della sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
- Cosa significa agroecologia
- I princìpi dell’agroecologia
- Un’alternativa all’agricoltura intensiva
- Esempi di agroecologia nel mondo
Cosa significa agroecologia
Come suggerisce il nome, l'agroecologia è un approccio all’agricoltura che si fonda su principi ecologici. Invece di forzare i ritmi della natura per incrementare le rese, dunque, adotta tecniche che agiscono in armonia con i processi naturali.
Per esempio, favorisce il controllo biologico dei parassiti, riducendo drasticamente la necessità di pesticidi e fertilizzanti chimici. La biodiversità è un pilastro di questo approccio: per tutelarla, gli agricoltori diversificano la tipologia di colture e accolgono – anzi favoriscono – la presenza di insetti impollinatori, microrganismi e altri invertebrati che arricchiscono il suolo.
In questo modo, gli ecosistemi agricoli si mantengono fertili negli anni e risultano anche più resilienti, cioè più capaci di reggere all’impatto di eventi meteorologici estremi e malattie. Anche i consumi di acqua ed energia sono visibilmente inferiori rispetto a quelli dell’agricoltura tradizionale.
Così descritta, l’agroecologia può sembrare un bel sogno. In realtà, è suffragata da vari studi scientifici. Un rapporto dell’istituto di ricerca francese Iddri, per esempio, sostiene che l’agroecologia – pur rinunciando alle rese portate all’estremo dall’agricoltura intensiva – sia sufficiente per produrre cibo a sufficienza per i 530 milioni di persone che vivranno in Europa nel 2050. Questo, però, a patto di seguire su larga scala una dieta sana, con meno zuccheri e derivati animali e più fibre, frutta e verdura di stagione.
I princìpi dell’agroecologia
La coalizione di organizzazioni cattoliche per la giustizia sociale Cisde ha messo nero su bianco una serie di princìpi che riguardano le varie dimensioni dell’agroecologia. In termini ambientali, questo approccio:
- valorizza le interazioni e le sinergie tra i vari elementi degli agrosistemi e dei sistemi alimentari;
- favorisce e tutela la vita nel suolo per garantire condizioni favorevoli alla crescita delle piante;
- attraverso il riciclo, cerca di chiudere i cicli dei nutrienti e delle biomasse;
- mantiene la biodiversità superficiale e sotterranea;
- riduce la dipendenza da pesticidi ed erbicidi, migliorando la fertilità del suolo attraverso una gestione ecologica;
- supporta sia la mitigazione dei cambiamenti climatici, sia l’adattamento e la resilienza.
In termini sociali e culturali, l’agroecologia:
- è radicata nell’identità e nelle tradizioni delle comunità locali;
- contribuisce a diete sane, varie e di stagione;
- favorisce lo scambio di conoscenze tra agricoltori e le alleanze tra il mondo agricolo e quello della ricerca;
- crea opportunità di confronto tra città e campagna, o tra popoli diversi;
- è inclusiva, perché offre opportunità a tutti;
- non richiede necessariamente certificazioni esterne a pagamento;
- aiuta le popolazioni a mantenere un legame spirituale con la loro terra.
I princìpi dell’agroecologia riguardano anche la dimensione economica, perché:
- favorisce una filiera corta, equa e trasparente;
- contribuisce al reddito e all’occupazione delle famiglie di contadini;
- poggia su una visione di economia sociale e solidale;
- diversifica le fonti di produzione e dunque i redditi agricoli;
- valorizza i produttori locali, permettendo loro di vendere i prodotti a prezzi dignitosi;
- rende più autonome le comunità locali.
Infine, l’agroecologia ha anche una dimensione politica perché:
- mette al primo posto i bisogni e gli interessi dei piccoli agricoltori;
- assegna alla popolazione il controllo di sementi, biodiversità, terra, acqua, conoscenze e terreni;
- introduce i produttori nei processi decisionali, incidendo sui rapporti di potere;
- ha a sua volta bisogno del supporto della politica, anche attraverso gli investimenti pubblici;
- incoraggia una governance decentrata, l’azione collettiva e l’auto-organizzazione di gruppi e reti globali e locali.
Un’alternativa all’agricoltura intensiva
Un modello simile si pone agli antipodi rispetto a quello, ormai dominante, dell’agricoltura intensiva. Affermatasi su larga scana a partire dal Ventesimo secolo, l’agricoltura intensiva si pone come obiettivo primario la massimizzazione delle rese: pertanto, destina ampie superfici a una singola coltura (monocolture, appunto), facendo un largo uso di fertilizzanti chimici, acqua, pesticidi e macchinari agricoli.
Così facendo, però, le colture impoveriscono rapidamente il terreno, creando una sorta di circolo vizioso per cui servono quantità di fertilizzanti sempre maggiori pur di mantenerlo produttivo. Un terreno degradato è anche più soggetto all’erosione e alle conseguenze di grandinate, ondate di calore e siccità, violenti temporali e altri fenomeni divenuti sempre più comuni in un contesto di crisi climatica.
Altrettanto pesanti sono le conseguenze in termini di inquinamento, per il largo uso di pesticidi chimici, e di eutrofizzazione delle acque, che contengono cioè eccessive quantità di nutrienti derivanti dai fertilizzanti.
Sempre i fertilizzanti sintetici generano emissioni di protossido di azoto (N2O), un potentissimo gas serra, mentre il metano (CH4) è prodotto dai processi digestivi dei ruminanti e la fermentazione dei loro scarti organici.
Parlando sempre di gas serra, responsabili del riscaldamento globale, è bene ricordare come la conversione di habitat naturali in terreni agricoli faccia aumentare le emissioni di CO2; emissioni che il suolo, una volta degradato, immagazzina in modo meno efficace.
L’agricoltura intensiva inoltre fa un massiccio uso di acqua per l’irrigazione, cosa che va a esacerbare la siccità in territori già predisposti. È il caso degli enormi appezzamenti di fragole e olivi in Spagna, o delle mandorle in California.
Esempi di agroecologia nel mondo
I princìpi dell’agricoltura rigenerativa possono essere messi in pratica in tanti modi, compatibilmente con il contesto in cui ci si inserisce.
In Guinea-Bissau, Mozambico e Congo, per esempio, le aree periferiche delle grandi città hanno un forte potenziale in termini agricoli, compromesso però da alcuni problemi trasversali: la mancanza di competenze, l’uso incontrollato di sostanze chimiche di sintesi, la scarsa fertilità dei terreni, le difficoltà a competere sul mercato con i prodotti di importazione e così via. Migliorare la produttività agricola è una priorità, perché significa anche contribuire alla sicurezza alimentare della popolazione. È per questo che l’organizzazione non governativa Essor ha lanciato un progetto di formazione che si focalizza sui metodi agroecologici.
A migliaia di chilometri di distanza, in Cambogia, Agrisud ha supportato 1.970 aziende agricole familiari per aiutarle a diversificare la produzione e saper soddisfare così le richieste del mercato. 400 fattorie familiari hanno raggiunto questo obiettivo, incrementando la propria produzione almeno del 25%. Anche il reddito generato da tali attività agricole ha visto una crescita media compresa tra il 25 e il 30%.
Ma l’agroecologia non è una risorsa soltanto per i Paesi del Sud del mondo. Lo testimoniano i casi raccolti nella pubblicazione Agroecology in Action, tutti ambientati nel Regno Unito. Si va dalla Middle Ruckham Farm and Forest, dieci ettari in cui le foreste convivono con gli appezzamenti agricoli, i pascoli per animali e gli orti di piante medicinali, a Tolhurst Organic Farm, con la sua fiorente produzione di frutta e ortaggi su un terreno calcareo che di per sé sarebbe tutt’altro che adatto, ma è stato reso tale attraverso una sapiente rotazione delle colture.